Nella leggerezza che non possiede, nella struttura ludica che appare continuamente forzata, “Spy Kids” rifugge anche da quel prodotto di consumo diretto con consumato mestiere.
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Tra il film spionistico modello James Bond e l’oggetto/gadget come elemento diegetico essenziale, “Spy Kids” porta all’estremo le forme di un cinema-giocattolo composto da indifferenziati replicanti. Soltanto all’inizio il film di Rodriguez gioca su immagini seducenti nella loro ipotetica falsità – i coniugi Cortez che raccontano ai loro figli la loro avventurosa storia d’amore come se si trattasse di una favola – volte a reinventare tutto un sistema di un filone di spionaggio domestico che, recentemente, continua ad avere in “True Lies” uno dei suoi modelli più alti. La frattura più grossa però è presente nel momento in cui Rodriguez deve coniugare il surrealismo fiabesco (ispirato a film come “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato” di Mel Stuart e “Citty Citty Bang Bang” di Ken Hughes) con la riproposizione di un’azione sempre seriale e prevedibile nei suoi movimenti. La realtà di “Spy Kids” sembra aspirare a forme di una virtualità in cui il corpo dei protagonisti e la consistenza materica degli oggetti possa tornare quasi a una primitiva animazione. Dentro “Spy Kids” si sente però la consistenza del peso specifico dei metalli che tolgono consistenza a un’opera apparentemente aerea, ancora sospesa in quel “vortice” tipico del cinema di Rodriguez in cui mutano continuamente gli spazi – gli esterni di “El mariachi” e “Desperado”, il motel di “Dal tramonto all’alba” – e i protagonisti (gli studenti e gli insegnanti di “The Faculty”). In quella leggerezza che non possiede, nella struttura ludica che appare continuamente forzata, “Spy Kids” rifugge anche da quel prodotto di consumo diretto con consumato mestiere. In Rodriguez spesso viene confusa un’indubbia abilità (anche per la furba e consumata autoironia che comunque contraddistingue la sua opera) con un talento che invece è assente. In “Spy Kids” c’è invece anche il sospetto di una presunzione che unisce un’opera dichiaratamente “troppo alta” (eccessivamente cinefila e compiaciuta nei suoi riferimenti) con la struttura “bassa” di un film commerciale in cui è presente l’immediata digeribilità di un’estetica visiva da Playstation. Forzando ancora di più i termini del discorso, si può guardare “Spy Kids” come l’estensione di due opere dello stesso Rodriguez: il cortometraggio “Bedhead” (realizzato dal regista all’inizio della carriera), una commedia su una ragazzina dai poteri soprannaturali; l’episodio “I cattivi” del film collettivo “Four Rooms” (sempre con Banderas protagonista) in cui due bambini si trovano invischiati dentro una dimensione avventurosa – la scoperta di un cadavere, l’istinto a dare fuoco ad una stanza – che sono costretti a sostenere. Il progetto di “Spy Kids” è stato probabilmente pensato da tempo da Rodriguez, non a caso autore anche della sceneggiatura del film. Ma come in un altro percorso simile nella sua gestazione (“Toys”, che Barry Levinson aveva in testa dal 1978 e alla fine ha diretto soltanto nel 1992), i risultati alla fine tradiscono le intenzioni. Si sta al gioco di “Spy Kids” soltanto nell’arco della sua durata. Poi però non resta più nulla.
Titolo originale: Spy Kids
Regia: Robert Rodriguez
Sceneggiatura: Robert Rodriguez
Fotografia: Guillermo Navarro
Montaggio: Robert Rodriguez
Musica: Danny Elfman, Gavin Greenaway, Heitor Pereira, John Debney, Robert Rodriguez, Los Lobos
Scenografia: Cary White
Costumi: Deborah Everton
Interpreti: Antonio Banderas (Gregorio Cortez), Carla Gugino (Ingrid Cortez), Alexa Vega (Carmen Cortez), Daryl Sabara (Juni Cortez), Alan Cumming (Fegan Flopp), Tony Shalhoub (Alexander Minion), Teri Hatcher (Ms. Gradenko), Cheecch Marin (Felix Gumm), Robert Patrick (Me. Lisp), Danny Trejo (Machete)
Produzione: Elisabeth Avellan, Robert Rodriguez per Dimension Film/Troublemaker Studios
Distribuzione: Buena Vista International Italia
Durata: 96’
Origine: Usa, 2001
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