Sudestival 2023 – Intervista a Niccolò Falsetti, regista di Margini

In occasione del 23º Sudestival, il regista ci ha raccontato il suo film, tra processi creativi, le conseguenze di essere punk a Grosseto e il rapporto con i Manetti. La nostra intervista esclusiva

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È possibile coniugare i sogni giovanili alle necessità quotidiane, quando si vive in un luogo di provincia come Grosseto, così culturalmente distante delle trasformazioni socio-economiche del paese? È a partire da questo interrogativo che Niccolò Falsetti – qui al suo debutto cinematografico – articola con Margini un racconto denso, esilarante – e soprattutto, umano – di tre ragazzi amanti del punk hardcore, impegnati ad affrontare le incertezze del futuro, senza mai abbandonarsi alle costrizioni della provincia. Lo abbiamo incontrato in occasione della presentazione della sua opera prima al 23º Sudestival. Il film, in concorso alla manifestazione pugliese, è stato già presentato in anteprima internazionale alla Settimana della Critica di Venezia, dove ha vinto il premio del pubblico.

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Partiamo proprio dal cuore del film: nel corso del racconto la vita di Michele [Francesco Turbanti], Edoardo [Emanuele Linfatti] e Iacopo [Matteo Creatini] ruota tutta attorno al punk e alle sue liturgie, quasi come se ci fosse un rapporto osmotico tra i personaggi e la musica. Ecco, nel costruire i tre protagonisti, sia in fase di scrittura che nella collaborazione con gli attori, quanto è stata importante questa idea di punk come esperienza totalizzante?

È stata sicuramente centrale, anche perché abbiamo lavorato in sceneggiatura proprio a partire dal rapporto che i personaggi intrattengono con la musica. E noi, che facciamo parte di quella sottocultura, sappiamo bene quanto il punk diventi un’esperienza totalizzante, soprattutto quando si vive in provincia. Con questa domanda hai delineato esattamente la spina dorsale del film, tanto che ai tre attori abbiamo fatto ascoltare sin dall’inizio quella “robaccia” lì (ride), in modo che entrassero nei personaggi anche attraverso le sfumature più particolari che contraddistinguono le varie ramificazioni della musica punk. Solo Francesco, che oltre ad essere il co-sceneggiatore è uno skin vero e puro, non aveva bisogno di essere indottrinato.

 

Per quanto la musica sia totalizzante, vediamo come ogni personaggio sia comunque costretto a navigare tra i problemi della quotidianità, al punto che l’istanza centrale di Margini sembrerebbe essere proprio questa insormontabile difficoltà dei giovani protagonisti – e per estensione, dei loro omologhi reali – nel coniugare i sogni con le necessità primarie. È così?

Guarda te lo dico con leggerezza, ma senza vanità: ho avuto la percezione che molti spettatori, al di là degli skin che apprezzano naturalmente alcuni richiami alla loro sottocultura, siano stati mossi soprattutto dal conflitto che si viene a creare tra le aspirazioni dei personaggi e la dimensione societaria in cui si muovono. È questo che rende la storia universale. E in effetti, se ci pensi, non è che dei punk a Grosseto freghi un cazzo a nessuno (ride), ma il contrasto tra i punk e Grosseto è semplicemente il conflitto tra una dimensione del mondo, quella che ti invita a non fare “le scorregge più grosse del culo”, e quelle esterna risalente al 2008, impaurita, in cui ci propinavano un’idea di futuro simile ad un buco nero. Il nostro è perciò un film sul “provarci”, al di là del risultato finale.

 

Tutto questo sembra funzionare proprio perché la cornice del film è quella della commedia. Eppure il cuore del racconto è decisamente drammatico. In questo senso pensi che la gestione dei toni comici, oltre ad umanizzare i personaggi e rendere più trasparente il coinvolgimento emotivo del pubblico, serva qui a veicolare con maggiore immediatezza i messaggi di cui hai appena parlato?

Secondo me si. Inoltre ho sempre la tendenza ad inserire un tono ironico perché questo è il modo in cui guardiamo le cose, ed è lo sguardo che ci serve per ridere anche un po’ di noi stessi. Pensiamo, ad esempio, alla stand-up comedy, di cui sono un grande amante: questo tipo di artista è in grado di filtrare attraverso lo spirito comico i malesseri più comuni della quotidianità, consentendo a chi ascolta di riflettere su tanto altro, ed infine su sé stesso. Nel raccontare la “massa”, a cui naturalmente appartengo, mi piace perciò inserire sempre qualcosa di personale.

 

Vorrei ora soffermarmi sul titolo. La parola “margini” già di per sé connota due realtà fisiche: quella contenuta all’interno di uno spazio (in questo caso, la città periferica, quindi Grosseto) e tutto ciò che sta oltre questa realtà microcosmica. Al tempo stesso, a me sembra che nel film siano presenti non solo dei margini fisici, ma anche simbolici, da individuare nella condizione esistenziale dei tre protagonisti, relegati letteralmente ai lati della società, sia in termini economici, sia perché incompresi. È proprio questa duplicità semantica che volevi suggerire con il titolo?

Ciò che tu hai appena sottolineato rappresenta proprio il punto di domanda da cui siamo partiti, ovvero “come si sta sul margine?”. Naturalmente chi sta sul margine guarda al centro, quello è il suo parametro. Ma i margini sono tanti: c’è quello fisico, quindi Grosseto; c’è quello esistenziale, come la transizione dalla giovinezza all’età adulta; e poi c’è quello storico come il 2008 [anno della crisi in cui è ambientato il film] che segna la via di passaggio fra quello che c’era prima e ciò che da lì sarebbe seguito. Tutti questi margini ci interessavano perché, in quanto periferici, assorbivano le onde del cambiamento sempre in ritardo. A noi, infatti, c’è arrivato tutto insieme, dalle conseguenze di Genova al Berlusconismo, senza che riuscissimo a metabolizzare questi eventi, proprio perché i loro epicentri erano lontani.

 

Ragioniamo un attimo sull’inquadratura finale, forse la più riuscita di tutto il film, sia perché è straordinaria nell’esecuzione, sia perché è profondamente coerente con quella dialettica del contrasto che permea tutta la storia. È proprio a questa logica che si lega la scelta di chiudere il racconto con una canzone [Se bruciasse la città] così culturalmente distante dal punk?

Noi in realtà diciamo spesso che quello di Massimo Ranieri è il pezzo più punk di tutti (ride). A parte gli scherzi, quella scelta lì è nata dalla nostra volontà di copiare una tavola di Zerocalcare, quella di Un polpo alla gola in cui la macchina del protagonista viene avvolta dai tentacoli dell’animale, mentre risuona sullo sfondo Lella di Lando Fiorini. Un momento straordinario, perché dal punto di vista tematico riflette precisamente ciò che il personaggio sta vivendo in quell’istante. In questo senso, noi cercavamo una canzone che restituisse le due anime del film, e se ci pensi, Se bruciasse la città ingloba in sé entrambi i registri, grazie ad elementi allegri come orchestre e fiati, ed elementi più malinconici come gli accordi in minore e sfumature di composizione dal tono elegiaco. E la scena finale sta a suggerire questa duplicità emotiva, con gli attori che ormai avevano raggiunto una consapevolezza dei personaggi talmente completa, da creare un momento davvero magico e sincero.

 

Tra i produttori di Margini figurano i fratelli Manetti, con cui avevi già collaborato come regista di seconda unità a Diabolik e Coliandro. Oltre a reperire i finanziamenti, ti hanno dato anche qualche feedback importante in fase creativa?

Guarda, per noi è come se fossero dei “fratelli maggiori”, perciò il loro feedback è stato necessario: sanno di cinema e soprattutto conoscono come si dialoga con il pubblico. Per questo la loro presenza, soprattutto in fase di montaggio, si è rivelata quasi salvifica, perché lì è quando tutti nodi arrivano al pettine, e i Manetti grazie alla loro conoscenza, erano in grado di indicare con chiarezza cosa bisognava aggiungere – o togliere – ad una data scena, senza mai essere troppo invasivi né disfattisti. Sapevano che solamente noi potevamo conoscere in profondità il materiale, e ci lasciavano liberi di legare i loro suggerimenti alla nostra sensibilità.

E per quanto riguardo il prossimo progetto? Saranno coinvolti anche loro in produzione?

Per il prossimo film la collaborazione è ancora più stretta, dal momento che figurano come veri e propri co-produttori. Lavorare con loro è davvero un piacere, soprattutto se vieni da altri set. Anche se, devo ammettere, spesso sono fuori di testa!

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