The Good Lord Bird, di Ethan Hawke e Mark Richard

Miniserie ideata, scritta e intepretata da Hawke, che racconta degli ultimi anni di vita di John Brown e della sua lotta per l’abolizione della schiavitù, in una satira pulp dai toni grotteschi

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Storie “quasi vere”, tra il biografico e la fabula, usate come pretesto per portare sul grande schermo le ferite più agghiaccianti della storia umana, che ancora oggi possono essere tremendamente attuali, in modo originale, più satirico che documentaristico, più ironico che drammatico. Una storia quasi vera” rivela l’incipit di un’altra serie recente, The Great,  che racconta sì dei momenti precedenti all’ascesa al trono di Caterina la Grande di Russia, ma senza mai dimenticare tutte le spinosità del periodo: dalla posizione della donna in una società patriarcale alla differenza netta tra nobiltà e persone comuni, il cui “valore” come essere umano è visto inferiore, a un popolo costretto a sottostare alle follie di un impero distruttivo e ignorante, che proibiva qualsiasi forma di cultura. Il preludio di The Good Lord Bird, miniserie di Showtime ideata, co-sceneggiata, co-prodotta e interpretata da Ethan Hawke, basata sul libro omonimo di James McBride (sceneggiatore di due film di Spike Lee), recita invece “una storia in gran parte accaduta”.

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Una delle pagine più strazianti e vergognose dell’umanità è la schiavitù, che la serie mette in scena in modo tanto naturale da farla sentire come parte del quotidiano; una normalità rivelata attraverso gli ultimi anni di vita del predicatore e insurrezionalista John Brown (Ethan Hawke) e della sua battaglia per l’abolizione negli Stati del Sud America. Nel 1859 il predicatore, accompagnato dalla sua famiglia – in guerra i figli maschi sono i suoi più fidi seguaci – cerca di radunare miliziani per vincere la discriminazione e diseguaglianza, anche ricorrendo alla violenza più cruda. Il tutto in nome del volere di Dio. Hawke si è circondato di familiari anche nella realtà, sul set, lavorando all’adattamento con la moglie Ryan Shawhughes e scegliendo sua figlia Maya come stessa figlia di Brown. Ha inoltre co-prodotto la serie con amici, la casa di produzione Blumhouse di Jason Blum. Vi è quindi un affiatamento evidente, creando un piccolo e intimo nucleo di personaggi affini tra loro, che insieme funzionano e riescono a trasmettere calore persino in una realtà così cruda e spietata, se si pensa alla semplicità con cui un solo proiettile poteva porre fine alla vita di chiunque nello scenario western. 

La violenza è un dettaglio fondamentale in questa messa in scena: si parla quasi di un uso della ‘violenza al contrario’, rappresentata non tanto per evidenziare la condizione degli schiavi ma proprio quando ci sono John Brown e il suo seguito, che uccidono brutalmente chiunque sia favorevole alla schiavitù o appoggi idee razziste. Al contrario queste vengono descritte con ben pochi accenni alle violenze o alle situazioni più drammatiche, per quanto la schiavitù sia drammatica già di per sé; l’orrore più profondo della loro condizione viene fatto intuire proprio dallo squallore della quotidianità, di quanto fosse radicata e normalizzata l’idea dell’essere umano nero proprietà di quello bianco. “Sembrava che chiunque potesse fare discorsi sui neri, tranne i neri.” Brutalità oggi diversa ma sempre pregna dello stesso significato: nel mondo si è ancora abituati a pensare al bianco privilegiato come superiore, basti pensare agli USA ove il movimento Black Lives Matter ancora deve urlare per ottenere un trattamento equo nonostante siano trascorsi 156 anni dalla fine della Guerra di Secessione.

Narrata attraverso gli occhi di un giovane schiavo (immaginario), Henry Shackleford, che per un’incomprensione viene scambiato da Brown per una giovane chiamata Henrietta e soprannominata Cipollina, la storia pur seguendo comunque Brown se ne distacca per incentrarsi sul suo protagonista, costretto a fingersi donna, indossando abiti femminili e godendo di conseguenza di alcuni privilegi che lo tengono più al sicuro. Protetto “dal vecchio”, si unisce al gruppo di abolizionisti e partecipa agli eventi dal Bleeding Kansas fino alla caduta in Virginia, in un percorso di crescita surreale che lo porta a comprendere meglio la brutalità della sua condizione di schiavo, che prima non comprendeva affatto, alla ricerca di una libertà che inizia finalmente a pretendere. Il tutto in un viaggio di (dis)avventura e ripetizioni ossessive dei passi della Bibbia. La storia inizia dalla fine, con un flashforward determinante, ma essendo la morte di John Brown un evento reale non anticipa niente; questo segue i toni esagitati della serie, con nessun dramma eccessivo nemmeno alla fine, nemmeno nella morte. Non c’è davvero da soffrire per la caduta di Brown, del co-protagonista folle e piacente, poiché uno degli intenti di The Good Lord Bird è quello di sottolineare l’importanza delle azioni del vecchio, dei suoi sacrifici, della sua vita in quanto anticipatore (e innegabilmente portatore) della guerra civile americana, avvenuta due anni dopo la sua dipartita e due anni dopo la sua guerriglia fallimentare al deposito militare di Harper’s Ferry, in Virginia. Le sue azioni estreme, la sua fede maniacale, il suo idealismo e la sua stessa vita sono state un contributo fondamentale all’abolizione della schiavitù.

Sette episodi che fungono da preparazione per il raid finale in Virginia e che vivono in un ambiente grottesco, provando anche a toccare il dramma più puro, pur lasciandosi alle spalle il mood alla 12 anni schiavo per abbracciare un tono da BlacKkKlansman. Nella scrittura non sono riusciti a creare legami empatici tra personaggi e spettatori, anche trovando punti di contatto è difficile legarsi veramente a qualcuno, ma nell’errore si crea qualcosa di funzionale: tutto il focus empatico è lasciato alla condizione stessa, a quell’aberrante normalità che l’ironia riesce a raccontare così bene poiché enfatizza la complessità, l’irrazionalità e il contraddittorio. D’altronde c’è bisogno della rappresentazione dell’assurdo per spiegare l’assurdo del reale.

Dal rinfacciare ai bianchi l’ipocrisia della loro Dichiarazione d’Indipendenza, la quale recita che tutti gli uomini sono creati uguali, al protagonista schiavo nato e cresciuto in ambiente “confortevole” che rivela ingenuamente che ‘mangiava e dormiva meglio quando stava dal suo padrone prima di vivere con Brown’. Da quando viene sottolineato che i bianchi sono incapaci di distinguere una ragazza da un ragazzo afroamericani (persino lo stesso Brown), agli stessi schiavi, o neri discriminati, che si rifiutano di seguire il vecchio nella sua lotta nonostante fosse anche la loro battaglia, reputandolo un folle violento. Uno scontro di satiriche vedute che mette in risalto sia l’impossibilità di comunicare con i bianchi cristiani ipocriti dell’epoca che la difficoltà dell’essere abolizionisti e insurrezionalisti in un momento in cui pochi erano quelli disposti a lottare per la causa, ostacolata anche dagli stessi neri che godevano della libertà e vivevano in famiglie facoltose e non erano sempre disposti a sacrificare i loro agi. Ragion per cui Brown per cambiare le cose ricorre all’estremo, alla violenza che arma i neri e uccide i bianchi schiavisti. 

Maya Hawke è Annie Brown

Dall’anima pulp, The Good Lord Bird richiama Tarantino, dalle ambientazioni, ai personaggi, alle musiche, anche se più nello stile che nell’humor, ma al contempo riesce a ritagliarsi una propria originalità. Palesi i riferimenti a Django – Unchained, soprattutto in fatto di travestimenti e nell’esagerato font dei titoli di testa con la sigla colorata e kitsch a fumetto –  che ricorda quella di un’altra serie pop, Hunters, che anch’essa attinge da fatti realmente accaduti e combatte un’altra vergogna del mondo, i nazisti – così come si può notare una divisione a capitoli tarantiniana. Anche se, comunque, nessun personaggio resta memorabile come quelli tarantiniani, nemmeno il John Brown di Hawke nonostante l’attore dia vanto di una badiale, avvincente e coraggiosa interpretazione sopra le righe e sebbene il suo personaggio sia un anti eroe pop che ha trovato il suo estremo, svelando dunque un problema legato alla scrittura. Non a caso John Brown è proprio una figura che Tarantino avrebbe potuto raccontare, magari cambiandone pure le sorti, sempre all’interno della connotazione di storie “quasi vere”. The Good Lord Bird si prende ancora meno sul serio di quanto facciano le opere citate sopra, e il non voler abbandonare il tono ironico nemmeno nelle scene che dovrebbero essere più drammatiche lo rende originale e riconoscibile, non dimenticando la sensibilità in ciò che racconta e, soprattutto, regalando una condivisa voglia di insurrezione.

Titolo originale: id
Regia: Ethan Hawke e Mark Richard
Interpreti: Ethan Hawke, Hubert Point-Du Jour, Beau Knapp, Frederick Douglass, Nick Eversman, Ellar Coltrane, Maya Hawke
Origine: USA, 2020
Distribuzione: Showtime
Distribuzione italiana: Sky Atlantic
Durata: sette episodi –  320′ (totale)

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
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