TORINO 30 – Omaggio a Miguel Gomes: giocare sul serio
Non si esce indenni dal mondo di Miguel Gomes. Se il cinema è un gioco, ed è l'unico gioco che gioca con te, è cosa ardua separarsi dal suo fiammeggiante universo in cui tempi, spazi, generi vengono sovvertiti, in un sublime disordine, tra fantasie anarchiche e clamorose verità. L'Omaggio di Onde al 30° Torino Film Festival

E una volta finita la visione, ci si porta dietro la sensazione di aver perso qualche anno, e insieme, di averne acquistato qualcuno, come accade solo dopo le esperienze totalizzanti.
La retrospettiva, che comprende tre lungometraggi e una batteria di corti, è stata l'occasione per scoprire il percorso – ancora relativamente al suo principio – di Miguel Gomes, dalla fine dei '90 al bellissimo, ultimo TABU, presentato in anteprima italiana, già colpo di fulmine alla 62° Berlinale. Un autore geniale capace di disorientare, "l'inatteso figlio di un cinema che offre la prassi poetica lusitana alla gioia un po' sacra un po' profana di un filmare in cui il principio dell'inversione, proprio dell'ironia, trascina sfondi e figure verso un continuo spostamento della loro identità": l'ironia della saudade, dice Massimo Causo nell'introduzione al cinema di Gomes. Anche nel suo prossimo progetto (anticipato in una videointervista che pubblicheremo sul sito) Gomes continuerà a raccontare quelle storie di cui non si può fare a meno per salvarsi: una lettura de Le Mille e una Notte (lontana da Pasolini, più vicina forse alla Sheherazade del grande scrittore John Barth, che avvita narrazioni l'una dentro l'altra per continuare a restare ancorata alla vita) dove la più sbrigliata immaginazione incontrerà la realtà della crisi economica.
Già da ENTRETANTO (1999) ci si accorge di avere a che fare con un fuoriclasse, malgrado Gomes oggi si senta lontano da questo esordio, che al Festival ha presentato addirittura come uno "shitty film": in realtà l'equilibrio e la fluidità con cui si muove dalle nuvole di un'estate perduta (Que Sera, Sera...) ai movimenti dei tre protagonisti, una ragazza e due ragazzi coinvolti in un triangolo adolescenziale, che passano in un attimo dal bacio al gioco alla lotta infantile, tra feste innocenti, campi da gioco, abbandono sulla riva del mare, svela una freschezza e un talento non comuni, e inaugura un uso del sonoro e delle musiche di grande audacia e originalità, che verrà riproposto in tutti gli altri corti (in alcuni dei quali non a caso Gomes, in grado di usare in modo sorprendente qualunque genere, dai The Kinks a Lhasa De Sela, compare nei crediti come "deejay").

KALKITOS (2002) ovvero trasferelli – chi era bambino negli anni '80, come il regista, non può non ricordare le magiche decalcomanie che richiedevano di grattare la superficie per portare una figura su carta – viene definito da Gomes il suo corto più punk, come una canzone dei Ramones: tre accordi e sei a posto. Solo un gioco, nato dal tentativo di trovare un ground zero della storia del cinema, ma di nuovo, un gioco irresistibile e arguto, che lavora sullo straniamento provocato dal vedere dei ragazzi dalle fattezze di ventenni lottare per il riconoscimento della loro vera età: dieci anni. Vera per modo di dire, perchè in Kalkitos il piccolo diventa grande e viceversa e neppure i documenti sono funzionali a dimostrare se sia in ballo il rifiuto della struttura imposta dal sentirsi adulti o una fantastica anomalia genetica in cui non si "corrisponde" mai al proprio aspetto. Tra accelerazioni, boutade, trovate graffianti e ancora i riferimenti a un mondo magico e crudele (il criceto che mette in fuga il nemico predicatore, il possesso di un pallone di cuoio come lasciapassare per superare l'emarginazione di un gruppo di ragazzini, ghiaccioli e album da colorare) il corto è un piccolo saggio esplosivo dove Gomes può permettersi di togliere la parola ai suoi personaggi, che aprono e chiudono la bocca meccanicamente, accompagnati da didascalie esilaranti bollate con un sardonico TM che ne certifica l'originalità, dove anche le risate sono enfatizzate nel testo, come nei fumetti, e il pathos della musica viene continuamente preso in giro dallo scratch su un un vinile invisibile.
E a bocca spalancata ci lascia anche l'ultimo corto, CÂNTICO DAS CRIATURAS (2006) dove un "trovatore italiano" (Paolo Manera, a lungo selezionatore del TFF, divenuto amico di Gomes dividendo l'amore per il cinema e anche alcune notti brave a base di vodka e di conversazioni) viene costretto dal regista ad aggirarsi per le strade di Assisi come improbabile menestrello. Lo stile di Gomes è impressionante anche quando si tratta solo di muoversi tra i passanti di una cittadina, ma il godimento lascia subito spazio ad altre forme di piacere con rapidità vertiginosa: eccoci di fronte a un San Francesco confuso e smemorato, su fondali dipinti, che beve dalle mani di Santa Chiara come da quelle di un'amante, poi a un incredibile sipario di animali rubati a documentari didattici, un'esplosione di colori in cui le voci infantili del gufo, del lupo, dell'insetto iniziano un mistico inno alla riproduzione che parte dalle parole del Santo ma finisce per assomigliare a un canto di guerra: che la carneficina continui.
Sono state accolte con grande attesa e partecipate tutte le proiezioni dei lungometraggi: dall'esordio del 2004, A CARA QUE MERECES (i primi minuti), definito da Gomes un esorcismo in cui evoca sette creature come i sette nani della fiaba dei Grimm per raccontare la "crisi dei trent'anni" di un uomo, diviso in due parti che rispecchiano due mondi differenti così come gli altri suoi film; a AQUELE QUERIDO MÊS DE AGOSTO, del 2008 (trailer) dichiarata sovversione dei codici del documentario, nel quale entrano in gioco direttamente anche la stessa troupe e le difficoltà di lavorazione. Qui il suono, così importante nel cinema di Gomes, è opera di Vasco Pimentel (collaboratore abituale di Teresa Villaverde) che tornerà a lavorare per lui anche in TABU, del 2011: miracolo espressivo tra amore smodato per l'affabulazione di ogni tempo, fantasia coloniale e infinita malinconia, tra veterani (Laura Soveral, Teresa Madruga, Henrique Espírito Santo) e promesse del presente (Ana Moreira, Carloto Cotta) amatissimo anche dal pubblico torinese. Dovrebbe essere in sala in primavera, distribuito da Archibald Film, ci auguriamo vivamente senza le forzature del doppiaggio.
Scanzonato dietro una tranquilla gentilezza, capace di affrontare con creatività il puntuale scarseggiare di finanziamenti adeguati alle sue grandiose idee iniziali, Gomes – presente a Torino a introdurre con umorismo tutti i suoi lavori (video) accompagnato dal suo simpatico e illuminato produttore Luis Urbano (O Som e a Fúria) – opera circondato da una family di collaboratori/amici che lavorano a vario titolo in una fertilissima "scena" portoghese: il montatore João Nicolau (Vai e Vem – regista di O Dom das lágrimas, presentato in CinemaXXI) è anche attore in A Cara que Mereces, direttore della fotografia in 31 e interpreta Francesco d'Assisi in Cántico das criaturas; l'ex ragazza di Gomes, Mariana Ricardo (nonchè sorella di Nicolau, motivo che aggiunge un sottinteso brillante alla sua interpretazione di Santa Chiara) è anche una musicista, compositrice per diversi dei corti di Gomes, nonchè cosceneggiatrice di Tabu, e compare nei panni della Catherine reinventata del "Jules & Jim" Entretanto accanto a Nuno Oliveira (che compare anche in 31 – l'altro lato del triangolo di Entretanto è André Delphim, protagonista anche di Kalkitos).
Fin dal primo corto Gomes lavora con Rui Poças, direttore della fotografia prediletto anche da João Pedro Rodrigues (anche lui presente a Torino con il corto Manhã de Santo António, presentato a Cannes, e con il recente A Última Vez Que Vi Macau, che ha vinto come miglior documentario). Carloto Cotta (attore amato proprio da Rodrigues, in Odete e Morrer como un homem, visto anche in A Religiosa Portuguesa di Eugène Green e in Mistérios de Lisboa), sarà l'affascinante giovane Gian Luca Ventura in Tabu, ed era già apparso in A Cara que Mereces e 31.