Veloce come il vento, di Matteo Rovere

Matteo Rovere guarda all’America nella costruzione di un action all’italiana che riesce a tenere attaccati alla sedia, dove un Accorsi camaleontico gioca con l’elemento mitopoietico del personaggio

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Quello di Matteo Rovere sembra essere un cinema che ha al contempo il pregio e il difetto dell’ambizione e che punta al costante rinnovamento, pur mantenendo delle lievi tracce autoriali. Era il racconto di due fratelli acquisiti quello da cui partiva Gli Sfiorati, come è una storia di fratelli Veloce come il vento, ma se nel primo ad essere descritta era l’inaccessibilità dell’oggetto del desiderio (che perde di valore una volta raggiunto) tramite l’impossibile passione erotica tra Meté e la futura sorella Belinda, qui ad essere mostrata è la nascita di un sentimento più puro, come la scoperta dell’affetto familiare tra due personaggi antitetici: il tossico Loris, ex campione di gare automobilistiche decaduto, e la giovane sorella Giulia, dove i due prendono gradualmente coscienza di essere indispensabili l’uno all’altra proprio nelle insormontabili differenze. In questo action all’italiana che guarda prevalentemente all’America, Rovere punta alla spettacolarità, all’intrattenimento e ad una messa in scena seducente; e riesce a cogliere nel segno in tutti i e tre i punti. C’è l’azione, c’è il dramma, ci sono la costruzione del pathos e della retorica dell’eroe. veloce3Ma c’è anche un distacco ironico, un sorriso a tratti beffardo, tanto nella recitazione di Stefano Accorsi nei panni dell’ex campione detto “il ballerino”, quanto nella costruzione intera del film, tutto giocato sulla ricerca di un punto di raccordo tra la serietà di Giulia, cresciuta troppo in fretta, e l’eccesso al contempo vitalistico e totalmente autodistruttivo di Loris. In questo senso quello di Rovere è un cinema che sembra altalenare sulla linea sottile tra la pura forma abilmente costruita e la carne viva dei sentimenti, dove non si riesce mai a tracciare un confine netto tra furbizia affabulatoria e una sincera urgenza emotiva, ma nel dubbio ci si lascia coinvolgere in una storia fluida e a tratti adrenalinica, dove – cosa rara nel panorama italiano – le scene delle corse in macchina ti lasciano quasi sempre incollato alla sedia. Il regista de Gli Sfiorati ha dalla sua una protagonista convincente e uno Stefano Accorsi che trascina il racconto dall’inizio alla fine, puntando tutto su una recitazione “agonistica”, ma che nell’uso estremizzato e caricaturale del dialetto riesce ad essere esilarante. Accorsi sembra inoltre seguire le tracce dei divi hollywoodiani, puntando sulle trasformazioni fisiche unite a un’autoironia sottovalutata: se nel 2013 era stato un Arbitro gasato e pompato, qui diventa un tossico folle e dai denti marci. Il suo è un tossico che non ha nulla di quella vita furente che ardeva come una fiamma negli occhi di Vittorio e Cesare di Non essere cattivo e piuttosto che sull’aderenza ad una realtà sociale o emotiva, gioca con l’elemento mitopoietico del suo personaggio, nella creazione di uno sgangherato ma efficace antieroe.

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Regia: Matteo Rovere

Interpreti: Stefano Accorsi, Matilda De Angelis, Roberta Mattei, Paolo Graziosi, Lorenzo Gioielli

Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 119’

Origine: Italia 2016

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