Vin Diesel, il viaggio messianico di Dominic Toretto in Fast X

Come un corpo cristologico Vin Diesel compie in F&F un arco di estrema santificazione volta a legittimare il suo Toretto definitivamente come il Messia del Barrio che ha salvato il Vaticano

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Era il lontano 2014 quando uscirono le prime notizie riguardanti la lavorazione del film incentrato sulla figura leggendaria di Annibale il Cartaginese, alla fine mai concretizzatasi. Il progetto, che poteva cristallizzare definitivamente la seconda ascesa del Peplum all’interno delle nuove estetiche digitali riportate in auge da Scott e dal 300 di Snyder, purtroppo fu archiviato dal repentino declino del genere storico decimato dalla totale esplosione del disegno Marvel e in generale dalle politiche produttive volte all’espansione del cinecomic, verso il futuro del blockbuster contemporaneo. E a rendere questa illusione perduta degna della sua fama è la partecipazione sia nelle vesti d’attore che, e soprattutto, da regista di Vin Diesel. Il coinvolgimento di Dominic Toretto nel mitico biopic sul generale punico, a dispetto di qualunque discorso legato all’illogicità dell’operazione, nella realtà dei fatti apriva già all’epoca uno stimolante quanto strampalato ragionamento sulla perpetua ricerca della gloria santifica che Diesel adotta su sé stesso e su tutto il cinema che lo vede protagonista. Un viaggio dogmatico intrapreso alla rinfusa fino all’ultimo capitolo della saga di Fast & Furious.

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Fast X runtime confirms it as one of the longest Fast & Furious movies

Il film di Leterrier frantuma la roboante mappatura dell’universo senza confini del franchise in un groviglio di tracciati spezzati, ma già il poster sembrava indicare un tentativo di ascetismo da parte di Diesel, oramai vero corpo estraneo, suggestione fuori dall’ordinario. Perché in fondo cos’è Dom Toretto se non un buon samaritano pregno di “sani valori” che vorrebbe usare la Fede, il Verbo come unica arma per abbattere il nemico? E Fast X nella sua mediocrità ne esplicita il giusto e definitivo percorso religioso, in grado di dispiegare la luce su un uomo oramai assoggettato dalle rapine vissute “un quarto di miglio alla volta”, con l’animo lontano dall’atavica pulsione al rischio di cui invece sono schiavi l’immortale Cruise e il Baba Yaga John Wick. Esemplificativo il primo tracciato capitolino del decimo capitolo della saga, dove Roma per un istante assomiglia alla prima arena senza barriere di un Rocket League. Diesel non partecipa alla rapina ma ne viene assorbito, anche contro la sua stessa volontà, cercando di evitare non tanto di ridurre ad una voragine la città ma tentando, in una progressione catastrofica, di salvare addirittura il Vaticano. Come un Ethan Hawke ferrariano, Toretto già da questo passo annuncia la sua Missione, la sua personale redenzione cristiana con tanto di ringraziamento da parte della Santa Sede. Roma cade ma il viaggio continua fino alla terra del Cristo redentore, con Diesel accolto in quel di Rio come un messia attorniato dal mito. Ed anche in questo frangente la morale di Toretto viene messa in discussione dal Momoa perplesso delle doti magiche del rivale. Ovviamente la sfida si è consumata a suon di motori ma l’alone rimane, l’intenzione di storicizzare il corpo di Diesel come un martire di un mondo sull’orlo del crepuscolo e incapace di rispettare la volontà del proprio redentore oramai volto al totale sacrificio pur di salvaguardare la propria famiglia. Infatti il Portogallo gesuitico, ultimo tassello di questo spasmodico viaggio, nei suoi anonimi e spogli contrasti ci appare come l’ultima casa di un’entità stanca del proprio peregrinare, mentre vorrebbe essere solamente l’ultimo bravo ragazzo del contemporaneo.

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