Woodstock 50 – Salta il cinquantennale del concerto?

Per le cinquanta candeline del festival di Woodstock il produttore di allora aveva pensato ad un evento in grande stile, che però alla fine pare annullato. Un po’ di quello spirito è già volato via

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Quando Ang Lee, nel 2009, decise di omaggiare Woodstock realizzando un film, prese come punto di partenza il libro autobiografico di Elliot Tiber, che all’epoca fu una figura chiave nell’organizzazione del festival, intitolato Taking Woodstock: A True Story of a Riot, Concert, and a Life.
L’intento era quello di raccontare un evento, diventato negli anni l’icona della Summer of Love, del prog rock e del movimento hippy, come un qualcosa di estremamente glocal (per usare un termine del futuro), improvvisato, sicuramente poco consapevole di ciò che sarebbe stato.
Perché è chiaro che nel mondo della musica esista un prima ed un dopo Woodstock, una linea di demarcazione netta, irreversibile almeno quanto il pre e post Beatles.

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A cinquant’anni da quella magica estate, il produttore Michael Lang, in verità già impegnato in altre riedizioni più o meno fortunate della rassegna (Woodstock ’94 e Woodstock ’99), ci riprova e tenta di finanziare una line up in grande stile per festeggiare il mezzo secolo di un concerto ormai diventato brand.

Fioccano i nomi, pronte le locandine: Jimy Hendrix, The Who, Jefferson Airplane e Janis Joplin cedono il passo ai nuovi idoli della musica internazionale, tra cui Akon, Miley Cyrus, e Jay-ZTra i superstiti della prima edizione c’è Carlos Santana.

woodstock 50

Poi però qualcosa si inceppa nell’organizzazione, il fangoso campo di Bethel non sembrerebbe adatto ad ospitare un evento di quella risonanza ed uno dei partner che metteva i soldi, la multinazionale giapponese Dentsu Aegis Network, improvvisamente decide di ritirarsi dall’affare.
Parallelamente Lang tiene duro e continua a sbandierare ai quattro venti che la rassegna si terrà, costi quel che costi. Intanto però la Dentsu rilascia anche un comunicato in cui, tra le motivazioni, segnala la possibilità che la location possa essere «poco salutare e sicura per ospiti ed artisti».

Ed in effetti di ritardi nell’organizzazione ce ne sono stati, dall’approvvigionamento idrico alla messa in sicurezza dell’intera area. Insomma, il luogo non è adatto ed in molti temono che il cinquantennale possa essere ricordato più come una kermesse post-apocalittica in stile FYRE che per la celebrazione della più grande manifestazione musicale della storia.     
La questione poi è diventa ancor più intrigante da quando è venuto fuori che la Bethel Woods Center for the Arts, fondazione che gestisce i campi su cui si tenne il concerto, sta organizzando un evento parallelo e decisamente più raccolto.

Al di là di come andrà a finire, di questo Woodstock 50 resta già il rammarico per un evento potenzialmente già tradito, almeno nello spirito. E non si tratta di una (inutile) comparazione tra gli artisti dell’epoca e quelli di oggi.
È una sensazione molto più nostalgica, per certi versi romantica. Perché quel fango, quella marea imprevista di persone che arrivavano in quell’estate di cinquant’anni fa, oggi sarebbero un problema da risolvere, una possibile catastrofe già pronta per essere sbugiardata sui social.

E chissà che ne sarebbe allora della lotta, della musica e della vita osannate nel libro di Elliot Tiber. I tempi cambiano e gli eventi saltano, come il Mi cantino della chitarra di Hendrix. Stavolta però nessuno sembra voler continuare a suonare… 

  

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