True Detective 2, episodio 5 – Other Lives

Portando alle estreme conseguenze il gioco di citazioni con il modello-Ellroy, Pizzolatto con Other Lives segna un’altra tappa fondamentale nella rilettura dell’immaginario Noir Californiano.

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Post-Trauma. Le strade di Vinci sono coperte di sangue e bossoli, l’odore di polvere da sparo e di morte riempie i polmoni dei testimoni oculari. Mentre le lacrime di dolore ancora non sono asciutte, le istituzioni e le procure fanno a gara a chi ostenta più la propria soddisfazione, nascoste dietro sorrisi di presuntuosa ipocrisia. Il caso-Caspere è stato chiuso con successo. Sono stati degli spacciatori messicani, ovvio, che strafatti di droga hanno pensato bene di risolvere la questione in una pirotecnica carneficina. I cattivi, però sono morti e la Giustizia ha trionfato. Tutti contenti. I vari dipartimenti di polizia locali possono piangere i loro morti e nascondere ancora la spazzatura sotto i tappeti, il Sindaco può continuare a mantenere in piedi il proprio osceno castello di potere secolare e l’integerrimo procuratore già pensa a un futuro da governatore. Eppure qualcosa non torna. Lo sanno bene il marshal Bezzerides, gettata come un’indesiderabile nell’archivio prove, e il neo-detective Woodrough prigioniero di una promozione e in balia dei propri fantasmi interiori. Persino Velcoro, scappato in fretta e furia dalla Polizia di Vinci e gettatosi ciecamente nelle braccia di Frank Semyon, pur nell’ossessiva lotta per mantenere la custodia del figlio, sente sulla propria pelle le bruciature di una storia sbagliata ancora non finita.

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Tra le polemiche e le accuse di un pubblico ancora troppo legato alla prima stagione (sempre pronto a trincerarsi dietro termini inutili come “cliché” e “noia”) Nic Pizzolatto continua a camminare sulla sua strada, divertendo a danzare sui nervi a fior di pelle dei propri protagonisti. Portando alle estreme conseguenze il gioco di citazioni con il modello ellroyano, talmente ostentato da sfiorare i limiti del plagio, (ci sono differenze tra l’incontro clandestino tra i buoni, costretti a indagare nell’ombra delle istituzioni, con le tante scene gemelle lette nella Tetralogia di Los Angeles?), l’autore segna un’altra tappa fondamentale nella sua rilettura del Noir, affrontando il gigante James Ellroy in tutte le sue sfumature. In quel progetto quasi accademico che è sempre stato True Detective, l’analisi sempre fieramente “scontata” delle innumerevoli sfumature di un genere, le strade perdute di Any, Paul, Ray e Frank sono il personale tentativo di un autore di venire a patti con l’immaginario nero californiano, partendo da Chandler e arrivando a Il grande nulla, via Friedkin e Chinatown. Certo la frantumazione spaziale e fisica delle storyline crea più di un problema, soprattutto nelle reazioni dei protagonisti (per ora l’odio e la frustrazione dei nostri eroi sono troppo simili, troppo omologato), ma proprio adesso che ci troviamo sulle soglie di casa Seymon, insieme a un furente Velcoro pronto alla resa dei conti, non possiamo non accettare il viaggio di True Detective in tutta la sua urgenza e fascino.

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