BFM41 – Incontro con Giorgio Diritti

Il regista ha incontrato il pubblico del Bergamo Film Meeting al termine della proiezione del suo primo lungometraggio Quasi un anno. L’incontro fa parte della retrospettiva dedicata ad Ermanno Olmi

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All’interno della retrospettiva bergamasca dedicata ad Ermanno Olmi, nella cornice del Bergamo Film Meeting, si è tenuto l’incontro con il regista e sceneggiatore Giorgio Diritti.

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Diritti, impegnato con il lavoro di post-produzione della sua ultima opera Lubo, è intervenuto in via telematica per parlare della sua esperienza con Ipotesi Cinema, collettivo di cineasti fondato da Ermanno Olmi con cui ha potuto produrre il suo lungometraggio d’esordio Quasi un anno.

Diritti, che aveva già collaborato con Pupi Avati, arriva a due anni dalla fondazione di Ipotesi Cinema, uno spazio collettivo legato al territorio di Bassano del Grappa, dove il regista di Volevo Nascondermi può confrontarsi con diversi giovani cineasti ed intessere un rapporto umano di continuo scambio.

“Credo che, in relazione a quei tempi, sia stata una grande occasione di scambio e dialogo che mi hanno arricchito come uomo e come autore. Ermanno diceva che era una non scuola, lo scopo principale che ci muoveva come collettivo era il desiderio di trovare un senso alle cose, di osservare la realtà e di scoprire che cosa potesse rivelarsi utile per il presente e per le generazioni future. Ci si metteva in discussione soprattutto durante le riunioni che tenevamo insieme ad Ermanno. c’erano sicuramente anche momenti di scoramento ma nel complesso è stata una grande opportunità per crescere. Ci si vedeva a Bassano i primi tempi, successivamente ci siamo un po’ sparsi per l’Italia. Ma il legame che si è creato in quegli anni è tutt’ora molto vivo.”

L’esperienza di Ipotesi cinema rappresenta per Diritti un momento di condivisione totale. Il cinema diventa il risultato delle diverse singolarità che si incontrano ed è la condivisione fisica dello stesso spazio, delle diverse idee e suggerimenti a creare un film, gli aspetti tecnici passano in secondo piano.

“L’altro aspetto molto importante era quella legato alla condivisione, non c’era un obbligo di frequenza. Ci si trovava nella stessa casa per due o tre giorni e chi c’era condivideva quasi tutto, soprattutto la cucina. In questo senso, era fondamentale questa dimensione di famigliarità che passava per la condivisione dello stesso cibo e quindi di diverse storie, stili di vita, culture. Questo scambio reciproco ha mosso anche i nostri progetti. In questo ecosistema, si inserivano le riflessioni di Ermanno che noi cercavamo di fare nostre. Avevamo anche la fortuna di avere dei mezzi che potevano essere sfruttati a prezzi millesimati rispetto a quelli di mercato. Ora abbiamo questi strumenti moderni per fare il cinema che sostanzialmente fanno tutto da soli, mentre la grande forza di Ipotesi cinema non arrivava tanto dai mezzi, quanto dallo scambio degli spunti, della condivisione. Quello stare insieme era sempre l’occasione per arricchirsi, in una dimensione molto viva. Poi sfortunatamente, lo spazio che avevamo a Bassano non era più disponibile e col passare del tempo, il meccanismo si è un po’ slabbrato. In molti però hanno conservato la voglia di fare cinema in un certo modo. Oggi sono un po’ più a disagio in mondo in cui vedo tantissime scuole di cinema che forniscono tutte le nozioni tecniche più avanzate ma che non fanno molta attenzione alla ricerca del contenuto.”

L’incontro con Diritti, come detto in precedenza, segue la proiezione del suo primo lungometraggio Quasi un anno. Opera realizzata nel 1992, risultato degli spunti e del lavoro all’interno del collettivo Ipotesi cinema, oltre che alla collaborazione con l’attore Pino Tosca, conosciuto qualche anno prima sul set di uno dei film di Avati.

“Non lo vedo da qualche anno ma sono molto affezionato a quel lavoro, da tanti punti di vista. Il film è sicuramente il risultato di tante esperienze. Grazie ad Ipotesi Cinema avevamo fame di andare a trovare qualcosa che nello scrivere non saremmo mai riusciti ad immaginare. È partito tutto dalla conoscenza con Pino Tosca su un set di un film di Avati. Lui mi ha stimolato a interessarmi alla sua storia e al territorio. Ho potuto tastare con mano le atmosfere dell’Oltrepò: un mondo che mi è sembrato da subito affascinante. Si può dire che da quest’esperienza sia nato anche un seme di futuro, nel senso che mi sono innamorato dell’esperienza di interagire con il territorio. Quasi un anno ha certe caratteristiche proprie del documentario ma è anche il risultato di un’azione congiunta mia e del protagonista di stimolare delle situazioni. E, piano piano, anche la ragazza che si interfaccia all’attore protagonista è entrata in questo gioco.”

Si arriva alla figura chiave di Ermanno Olmi. A Diritti viene chiesto di commentare una frase attribuita a Gianni Amelio secondo cui la sua generazione di giovani cineasti non avesse avuto dei maestri e che fosse cresciuta senza modelli di riferimento.

“Non so perché Amelio faccia queste valutazioni, io credo di aver ricevuto un arricchimento in modi diversi da tutte le persone con cui ho lavorato. Di Avati ho amato l’entusiasmo sul set, con Fellini ho condiviso l’esperienza del casting e ho scoperto come trovare un muratore dietro ad un uomo vestito con un impermeabile e poi ovviamente Ermanno Olmi con cui ho condiviso tante discussioni, tante idee. Sono stimoli diversi che mi hanno aiutato. Anche quello che io stesso ho fatto per Ipotesi Cinema mi ha arricchito perché il lavoro sviluppato ha creato un modello di lavoro, una poetica basata sul senso di verità ed un modus operandi innovativo anche per le diverse tecniche di montaggio.”

Il cinema di Diritti può essere descritto come una fune tesa tra due poli equidistanti: il documentario e il cinema di finzione. Molti suoi film diventano il mix perfetto tra questi due approcci diversi ma interscambiabili, in grado di fornire suggerimenti l’uno nei confronti dell’altro. Un esempio, in questo senso, è il film del 2006, Il vento fa il suo giro, vincitore proprio a Bergamo nel 2006. Il regista racconta il suo rapporto con queste due direttrici del suo cinema.

“La dimensione del documentario è sempre quella più arricchente, più che una palestra è una sorgente. Una condizione in cui si può incontrare qualcosa che si evolva nella dimensione di un film. Le scelte le lego a ciò che definisco un innamoramento. Olmi ci ricordava sempre di innamorarsi delle storie o di quello che incontravamo. È ciò che ha guidato tutte le mie scelte. Un Giorno devi andare è il risultato degli stimoli rielaborati dal mio documentario Con i miei occhi. Il film nasce dall’incontro con Fredo Valla che aveva vissuto direttamente la storia che ho raccontato. il progetto è nato da un travaso infinito, grazie anche ad una filosofia di cinema senza grandi risorse ma che che si formasse prendendo persone in grado di offrire la propria disponibilità in un processo di arricchimento e collaborazione. Per me è fondamentale questo senso di avventura, fare film è come intraprendere un viaggio. C’è qualcosa di profondo, intimo, personale che ti chiama, da cui ti senti attratto. Un’ulteriore caratteristica dei miei film è la parte che io definisco di auto-flagellazione che mi impongo riguardo alla logistica. Per me è giusto così e faccio fatica ad abbandonare questo approccio perché riconosco che altrimenti non mi divertirei a fare un film.” 

L’ultimo intervento di Diritti, in attesa della sua ultima fatica, Lubo, che uscirà in sala entro la fine dell’anno, riguarda le sue suggestioni come spettatore all’interno di un sistema mediale sempre più complicato e occupato di players che hanno ormai superato il cinema.

“Le novità sono sempre attrattive. Devo dire che, rispetto alla fruizione su piattaforma, sicuramente più comoda per spazi e tempi, la sensazione rispetto a queste diverse potenzialità è che da un lato ci sia una grande sensazione di pluralità di offerte in cui è difficile muoversi e, dall’altra, la dimensione dell’intrattenimento sia diventata caratterizzante. Io sono cresciuto in un’altra epoca, con un altro tipo di cinema, sicuramente più impegnato, mentre oggi è necessario impegnarsi per trovare opere con maggiore profondità, che forniscano allo spettatore punti interrogativi piuttosto che tesi predefinite che ci portano a letto sazi.”

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