C’è ancora domani, di Paola Cortellesi

Un esordio più che convincente per l’attrice, una specie di Neorealismo rock per un cinema sociale sulla condizione femminile appassionato e pieno di amore per la storia del cinema italiano.

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Una lettera misteriosa. Il mittente sembra sconosciuto. Cosa c’è scritto? E soprattutto, chi l’ha mandata? Nel corso di C’è ancora domani quella lettera diventerà un dettaglio fondamentale. E forse già da quel dettaglio parte il primo omaggio del film al cinema italiano degli anni ’30 e ’40, tra l’evasione cameriniana dei ‘telefoni bianchi’ al Neorealismo con l’immagine della famiglia numerosa che vive in un seminterrato, le scritte sui muri di una Roma post-bellica (“Abbasso i Savoia, Viva la Repubblica”), la fila davanti all’alimentari per comprare la pasta e la presenza ancora di qualche camionetta degli americani in città.

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Delia è sposata con Ivano ed è madre di tre figli. In casa con loro vive anche il suocero Ottorino. Il marito è spesso autoritario e violento nei suoi confronti. Ma lei sopporta, ingoia, e va avanti. Fa più lavori e si occupa contemporaneamente di tutti i bisogni della famiglia. L’unico vero conforto è l’amicizia con Marisa, che ha un banco di frutta e verdura con cui si confida e gli incontri fugaci con Nino, un meccanico che un tempo aveva amato. Quando la figlia annuncia il fidanzamento con Giulio, figlio dei proprietari ‘arricchiti’ di un bar, cerca di organizzare un pranzo a casa sua nel mglior modo possibile. Ma, pur sembrando spesso sottomessa, quella vita inizia a starle stretta.

Comincia con uno schiaffo, finisce in mezzo a una folla numerosissima. Il primo film da regista di Paola Cortellesi è più che convincente proprio per come ricostruisce nel dettaglio l’atmosfera dell’Italia del dopoguerra sottolineata dal bianco e nero della fotografia di Davide Leone. Segue con complicità la sua protagonista, interpretata dalla stessa Cortellesi, il suo sguardo basso spesso sottomesso, spesso rassegnato. Ma Delia ogni tanto la testa la alza anche quando sta per essere picchiata dal marito, quando trova in Marisa lo stimolo per una vita diversa e soprattutto in quella lettera, prima gettata, poi recuperata. C’è ancora domani è un film che ha un sorprendente equilibrio perché non vuole farsi piacere a tutti i costi. Quello che conta prima di tutto è la voglia di raccontare una storia che chissà da quanto tempo Cortellesi aveva in testa. E una delle principali qualità del film è già nella sceneggiatura scritta dalla stessa regista assieme a Furio Andreotti e Giulia Calenda che già aveva mostrato un’ottima capacità nella descrizione approfondita dei caratteri negli script, per esempio, dei film scritti per Riccardo Milani tra cui soprattutto Come un gatto in tangenziale e il sequel proprio per i continui rimandi alla ‘commedia all’italiana’. Ed è da quelle parti che il film guarda proprio per il modo in cui approda felicemente nelle zone di un umorismo nero evidente nella descrizione e nei volti delle vicine di casa, quasi reincarnazione di ‘nuovi mostri’ in particolar modo il personaggio di Elvira. Ma riesce anche ad essere irresistibile con la figura della donna anziana venuta a piangere alla veglia funebre ma nessuno sa chi è che sembra uscita da un film di Carlo Verdone.

C’è ancora domani è pieno di affascinanti contrasti come quello tra la scritta del titolo del film in apertura che sembra arrivare dal cinema anni ’40 e il ralenti successivo. Una specie di Neorealismo rock che racconta con passione e amarezza la condizione della donna costretta a vivere in un ambiente, anche quello fisico della casa, che sembra una galera. La consapevolezza è già in quegli sguardi tra le porte tra Delia e la figlia Marcella. C’è un momento in cui il fidanzato della ragazza le afferra la gola e Delia rivede forse tracce di un suo passato. In parte è la risposta italiana ai film britannici sui diritti femminili come Suffragette e We Want Sex. Il primo più evidente in quanto condivide il tema del diritto del voto alle donne, l’altro più periferico ma ugualmente importante sulla parità di retribuzione sul lavoro. C’è una scena infatti in cui Delia chiede a uno dei suoi datori di lavoro perché un ragazzo appena assunto già guadagna più di lei. E lui gli risponde: “Quello è omo, no?”. Pero C’è ancora domani è più bello di tutti e due.  C’è la realtà ma ci sono anche i sogni. Un’improvvisa danza musical con il marito interpretato da Valerio Mastandrea o la macchina da presa che gira attorno a Delia e Nino sulle note di M’innamoro davvero di Fabio Concato. Tutti slanci visionari fino a un finale trascinante. E l’archivio della storia vera nei titoli di coda (il primo voto delle donne nel 1946) si confonde con quelle immagini. Lo sguardo di Delia non è più basso. E ora non indietreggia ma guarda e cammina avanti.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
2.98 (59 voti)

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