È morto lo storico del cinema David Bordwell

Scomparso il 29 febbraio, Bordwell ha rivoluzionato gli studi della settima arte. La sua eredità non verrà dimenticata. Il suo approccio ci permette di indagare il cinema attraverso nuove prospettive

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Se in un universo parallelo lo storico del cinema David Bordwell sta forse conversando con Ozu Yasushiro sul suo cinema, nel nostro ci tocca, tristemente, salutarlo e onorare la sua vita, la sua dedizione e i suoi illustri insegnamenti. Scomparso il 29 febbraio, Bordwell nasce nel ’47 a Rochester. Ha viaggiato nel tempo, così come nello spazio, dilatando il suo sguardo dall’Europa di Dreyer, all’Unione Sovietica di Eisenstein; dalla Francia dell’Impressionismo a quella della Nouvelle Vague; dal Giappone di Ozu, agli anni d’oro di Hollywood, tornando sempre a sedersi su quella poltrona da spettatore appassionato che sa guardare ogni film con lo stesso umile approccio, considerando ogni pellicola come un prodotto interessante, capace di insegnarci qualcosa. 

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Comincia ad appassionarsi al cinema all’età di 14-15 anni, come racconta nell’intervista concessa a Martin Hagener. “A quel tempo c’erano davvero pochi libri sulla settima arte e la maggior parte erano libri di storia del cinema. Non avevo visto tanti film perché vivevo in una fattoria; la maggior parte li avevo visti in tv. All’età di 16 anni, quando iniziai a guidare, cominciai ad andare nei cinema delle cittadine vicine. In quel periodo ho visto 8 1/2 di Federico Fellini, L’uomo di Rio di Philippe de Broca, ma i film che mi interessavano di più erano quelli di Orson Welles. 

Comincia la sua carriera d’insegnante concentrandosi sulla letteratura, altra sua passione, ma il cinema si insinua pian piano sempre di più. Nel liceo dove lavora si occupa del film club dove riesce a recuperare sia i classici sia le pellicole contemporanee. Grazie alla collezione del MOMA recupera le opere di Akira Kurosawa, François Truffaut, Robert Bresson, Jean-Luc Godard, Ingmar Bergman, Michelangelo Antonioni, “ma se c’è stato un evento che mi ha fatto scegliere di dedicarmi al cinema è stato vedere L’intendente Sansho di Kenju Mizoguchi. Lo vidi al cinema Bleecker Street nell’autunno del 1965.” 

Bordwell

E il primo contatto con il film ha il sapore di una leggenda medievale capace di cambiare per sempre il suo destino. Dopo la visione, Bordwell decide di iscriversi all’Università dell’Iowa. Il primo articolo sul cinema che riesce a pubblicare riguarda Notorious, “Non mi interessava molto il cinema americano contemporaneo, fatta eccezione di Richard Lester e Robert Altman. Ero più interessato alla Hollywood classica: Hitchcock, Welles e Ford.” 

Nel 1985 pubblica Narration of the Fiction Film e The Classical Hollywood Cinema (quest’ultimo insieme a Kristin Thompson e Janet Staiger), rivoluzionando lo sguardo sulla storia del cinema e la sua analisi. In quegli anni gli approcci dominanti alla materia filmica erano quello psicanalitico, quello femminista e quello marxista. Facendo una distinzione tra la dimensione espressiva e quella rappresentativa della forma narrativa, Bordwell rintraccia le “emozioni cognitive” nel cinema, come la curiosità, la suspense e la sorpresa, con un approccio accademico ed analitico. 

Un occhio concentrato sul passato, l’altro sul presente e sul futuro. Tra i tanti insegnamenti, Bordwell ci ricorda di non separare gli aspetti produttivi da quelli esecutivi né da quelli espositivi del film. La tensione tra queste diverse sfere può trarre in inganno. La macchina del Cinema ha sempre funzionato in un bilancio tra questi aspetti, dove sono state spesso proprio le costrizioni e le restrizioni ha dar vita a colpi di genio. Allo stesso modo, Bordwell ci insegna che il cinema, in quanto settima arte, sottostà alle teorie di Gombrich, così come della poetica dei formalisti. Le ispirazioni più disparate hanno condotto le sue ricerche e le sue analisi e possiamo salutarlo pacificamente, con le tante eredità che ci ha lasciato e che continueranno ad istruirci e a farci considerare le cose in modo diverso. D’altronde, era sempre stato convinto di preferire il cinema di Eisenstein a quello di Vertov, finché non ha letto uno studio di Oksana Bulgakowa che lo ha fatto ricredere. La scoperta sta anche nel mettersi in dubbio e valutare le cose da una nuova prospettiva. 

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