Fury, di Brian De Palma

Dietro l’intricato intreccio fantapolitico dai risvolti orrorifici, Brian De Palma nasconde la forza esplosiva dell’eccesso di visione del proprio Cinema. Dal romanzo di John Farris. Su Disney+

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Di cosa parla Fury? E’ un melo-horror-thriller o un film di fantascienza politica? E’ una apologia della diversità sfruttata come arma di distruzione di massa? A una lettura superficiale è la storia di due persone con poteri paranormali Gillian Bellaver (Amy Irving) e Robin Sandza (Andrew Stevens) alle prese con la manipolazione da parte delle figure di autorità come il vedovo Peter Sandza (Kirk Douglas) e il diabolico Ben Childress (John Cassavetes). Scendendo più in profondità Brian De Palma sembra discostarsi dal modello di Carrie per abbracciare le influenze di Profondo rosso (la pre-visione di un evento delittuoso), L’Esorcista (la levitazione) e Il presagio (la variazione sull’Anticristo). La sottile linea di sangue che lega Robin a Gillian riguarda soprattutto il confine tra bene e male. Se Gillian sembra conservare ancora una parvenza di umanità e si affeziona alla figura surrogata genitoriale di Peter, Robin rivivendo continuamente il “nocciolo traumatico” del falso assassinio del padre, diventa lo schiavo sessuale di Susan (Fiona Lewis) una dottoressa-padrona che abusa di lui su mandato di servizi segreti deviati.

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Sin dal prologo in Medio Oriente Robin è in competizione col padre (la gara di nuoto) e soffre della mancanza della figura materna. Gillian a scuola ha diversi problemi con le compagne e rapporti conflittuali con le figure genitoriali: la sua tendenza è rifugiarsi in un mondo infantile (la stanza arredata in maniera retrò) dove non esistono pulsioni sessuali.

Brian De Palma costruisce, sulla sceneggiatura alquanto eterogenea di John Farris (autore del romanzo), una serie di scene madri nelle quali la forma della rappresentazione rimanda ad una verità nascosta sotto la superficie delle cose. Le visioni di Gillian sono strutturate con la cinepresa che si muove in avanti mentre attorno ruota l’immagine proiettata al trasparente (effetto ripreso da Profondo rosso che a sua volta cita Vertigo). La fuga di Gillian dal club Paragon (si sentono echi primordiali degli X-Men) viene girata al rallentatore e con un montaggio (Paul Hirsch) che amplifica l’effetto di straniamento e depersonalizzazione. Il semplice incontro tra Peter e la fidata Hester (Carrie Snodgrass) sulle scale mobili di un grande magazzino di Chicago diventa un trionfo di vertiginose plongeé.

De Palma stempera l’angoscia del vuoto con inserti umoristici: la fuga in mutande di Peter che fa free climbing tra i balconi di Chicago, i poliziotti via radio che discutono sugli hamburger, l’inseguimento nella nebbia con la macchina nuova della polizia, il momento tragicomico in cui Robin al parco divertimenti attua la sua vendetta manipolando la giostra su cui sono saliti due ignari arabi (la citazione è da Delitto per delitto). La furia vendicativa di Robin sembra essere scatenata da un delirio di gelosia e dalla inadeguatezza sessuale rispetto all’esperta Susan: dopo l’ennesimo rapporto insoddisfacente la telecinesi si trasforma in trionfo da Grand Guignol. E non è un caso che il desiderio incestuoso di Gillian porti alla implosione: in una scena girata con dieci cineprese e con l’ effetto distraente della caduta di una lampada, la serie aggressiva di immagini rimanda alla furia orgasmatica dell’assassinio nella doccia di Psycho. La libido repressa porta alla deflagrazione e la realtà per tanto tempo soffocata rompe gli argini in maniera liberatoria, passando dalla cecità ad un eccesso di visione. Le musiche di John Williams sottolineano questa differenza tra purezza violata e vendetta furibonda e la fotografia di Richard H. Klein esalta il colore del rosso che sgorga copioso dagli occhi e dalle mani delle vittime.

Citato da David Cronenberg nei suoi Scanners (la esplosione del corpo) e La zona morta (la visione per contatto), Fury è una riuscita commistione di generi che nasconde dietro la convenzionalità dell’intreccio la forza iconoclasta del genio di Brian De Palma. Non è difficile vedere nell’esplosione finale alla Zabriskie Point il desiderio represso di sovvertire il sistema sfruttando il punto di appoggio del proprio talento visionario. Ma il sistema reagisce tagliando i fondi all’immaginazione: “Ciò che una cultura non può assimilare, distrugge”.

 

Titolo originale: id.
Regia: Brian De Palma
Interpreti: Kirk Douglas, John Cassavetes, Amy Irving, Carles Durning, Carrie Snodgress, Fiona Lewis, Andrew Stevens
Durata: 118′
Origine: USA, 1978
Genere: thriller

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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