I 3 dell’Operazione Drago, di Robert Clouse

Il debutto americano di Bruce Lee sancisce una volta per tutte lo strapotere divistico di un performer unico, capace fino all’ultimo di non tradire la sua arte. Anche in faccia ai vincoli di Hollywood

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L’approdo ad Hollywood da parte di una star straniera è generalmente considerato il grande salto di carriera, il momento nevralgico che consente ad un artista di abbandonare quei fattori che lo hanno reso popolare nel proprio contesto di partenza, in favore di un divismo più universale. Ma per un’icona incomparabile come Bruce Lee questo assunto lascia il tempo che trova. Perché I 3 dell’Operazione Drago è sì il film che ha permesso all’attore hongkonghese di entrare nel 1973 nel firmamento delle grandi stelle hollywoodiane. Ma diversamente da quanto accade (ed è accaduto) a molti degli artisti non-americani che ne hanno seguito le orme, il lungometraggio diretto da Robert Clouse non ha alcuna voglia di essere mitopoietico: non è cioè quell’opera che dovrebbe teoricamente ridefinire i canoni divistici della star e consacrarne il “mito” agli occhi del pubblico mondiale. Per nulla. I 3 dell’Operazione Drago è “semplicemente” il film che ribadisce, una volta per tutte, lo strapotere iconografico di un performer già pienamente maturo. Che non ha bisogno della grande macchina hollywoodiana per diventare leggenda. Perché l’abilità di stregare è da sempre inscritta nel suo codice genetico.

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Se consideriamo la biografia di Lee, I 3 dell’Operazione Drago acquisisce indubbiamente il sapore di una rivincita: è il secondo film di maggiore incasso del 1973 malgrado ad Hollywood nessuno credeva che una star asiatica potesse traghettare un film ad un successo planetario; ed inoltre la produzione è della Warner Bros, di quella stessa azienda che alla fine degli anni ’60 aveva rifiutato un progetto televisivo di Lee, spingendolo al ritorno in patria, dove paradossalmente getterà le basi per la sua parabola divistica, riportandolo pochi anni dopo nel grembo di Hollywood. In questo senso Enter the Dragon è il punto di sintesi di quel percorso di rivoluzione delle arti marziali al cinema iniziato nel 1971 con Il furore della Cina colpisce ancora, e proseguito, prima della scomparsa prematura, con L’ultimo combattimento di Chen (1978). E lo ribadisce proprio nella contaminazione tra ciò che ha reso unici i suoi tre film hongkonghesi e i linguaggi tipici del genere hollywoodiano. Da ritrovare soprattutto nell’apertura alle grammatiche dello spy thriller in stile bondiano.

Se in The Big Boss, Dalla Cina con furore (1972) e L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente (1972) Bruce Lee viene coinvolto suo malgrado in un circolo vizioso fatto di violenza, tradimenti e macchinazioni criminali, ne I 3 dell’Operazione Drago si assiste al percorso inverso, che detona già dalla storia una maggiore consapevolezza da parte dell’attore-icona della sua personalità divistica. Ma procediamo con ordine: assoldato dai servizi segreti britannici per indagare sui presunti traffici illegali di un certo Mr. Han (Shih Kien), vediamo Lee recarsi sull’isola controllata dall’uomo con la scusa di partecipare ad un torneo di arti marziali. La competizione, funzionale in realtà a reclutare nuove risorse per il commercio di oppio, è l’occasione per Lee di vendicare la giovane sorella, morta suicida tempo addietro proprio per sfuggire allo stupro di uno degli scagnozzi di Han. Al torneo prendono parte anche gli americani Roper (John Saxon) e Williams (Jim Kelly), due superstiti del Vietnam esperti di arti marziali che aiuteranno il protagonista a gettare luce sull’impero criminale di Han, e ad assicurare l’uomo alla giustizia del “pugno”.

Già l’incipit mostra una grande auto-riflessività da parte de I 3 dell’Operazione Drago, teso sin dall’inizio a ragionare sui codici che hanno reso Bruce Lee un’icona, e a declinarli in un progetto che abbia il sapore della grande narrazione di stampo hollywoodiano. Quel che si nota nel racconto è infatti la centralità dei linguaggi del thriller spionistico, un fattore che fino a quel momento non era mai realmente entrato nella filmografia dell’attore e che serve qui da ponte fra due cinematografie distanti, e perciò fra due modi diversi di interpretare le logiche action sullo schermo. E seppur il racconto sposi con grande coerenza questa contaminazione stilistica, non risulta mai schiacciato dalla sua anima “occidentale”. Al contrario, il film è a tutti gli effetti un’opera di Bruce Lee. Nessuno lo può negare. Se la modalità che conduce il protagonista verso la spirale irrefrenabile di scontri all’ultimo sangue è perlopiù invertita, il resto sembra provenire proprio dalle sue narrazioni hongkonghesi. Al punto che nel racconto convergono tutti gli elementi del passato: la parabola di vendetta di un eroe sornione ma arrabbiato, il cinismo di fondo, gli sbeffeggiamenti verso i ridicoli avversari, l’assenza di qualsiasi freno. E poi i calci volanti, gli ibridismi di wing chun e colpi da boxer, le urla, i nunchaku. Fino ad arrivare al memorabile combattimento finale. Qui come sempre accade di fronte ad un film di Bruce Lee, si resta col fiato sospeso in attesa del momento topico, della sequenza in cui alla “vestizione” omerica si sostituisce la “svestizione” pre-esplosione. Quando si straccia la veste è di fatto il segno che non ce n’è per nessuno. Sappiamo che da lì in poi il nostro eroe scatenerà tutta l’energia che ha dentro di sé e la canalizzerà in ogni colpo. In ogni grido. Travolgendo con la sua arte tutti gli avversari che proveranno (invano) ad affrontarlo. Per poi tradurre tutto ciò che mette in campo, in puro godimento (audio)visivo.

I 3 dell’Operazione Drago, sin dal debutto nell’estate del 1973 ad un mese dalla morte di Lee, è un film che ha meritato di entrare nell’immaginario collettivo. E anche se non possiede la radicalità o il dinamismo dei suoi film hongkonghesi, soprattutto dei primi due diretti da Lo Wei, rimane comunque un testo nevralgico per come ha confermato al mondo intero che la rivoluzione nel cinema di arti marziali parte incontrovertibilmente dal suo autore. Del resto, oltre a tracciare la via futura delle narrazioni action di Hong Kong, può fregiarsi anche delle apparizioni dei due artisti che dalla seconda metà degli anni ’70 contribuiranno all’esplosione dell’industria cinematografica hongkonghese: Sammo Hung e Jackie Chan. Proprio il primo dei due interpreta l’avversario di Lee nel combattimento iniziale del film: una scena breve e culturalmente significativa, che avendo unito la boxe al kung fu, è ancora oggi riconosciuta come il punto d’inizio delle arti marziali miste.

Insomma, l’influenza de I 3 dell’Operazione Drago non si arresta ai soli orizzonti del cinema. Dall’animazione (Dragon Ball) ai videogame (Tekken o Mortal Kombat) fino alla televisione (Takeshi’s Castle) il film ha toccato ogni campo dello spettacolo e delle discipline di combattimento, dando vita ad un racconto dall’importanza trasversale. Ma quel che lo rende davvero immortale, ciò per cui a distanza di 50 anni ci lascia ancora impietriti, è l’integrità con la quale non ha tradito il suo pubblico di riferimento, nonostante il nuovo contesto produttivo. Perché il film è, a tutti gli effetti, la dimostrazione che Bruce Lee non è sceso a compromessi con gli americani. Anzi, è Hollywood che si è piegata a lui. E che si è lasciata conquistare dal sogno non di un “asiatico”, come voleva dimostrare l’attore, ma di un “essere umano”. Enter the Dragon è allora il testamento di un artista irripetibile, che come tutte le grandi star è nato per il primo piano, e che in continuità con i migliori performer dà il meglio di sé nell’inquadratura larga. Un genio, che con il suo eclettismo ha infranto innumerevoli barriere e tabù culturali. E di cui, forse, non vedremo mai più un omologo.

Titolo originale: Enter the Dragon
Regia: Robert Clouse
Interpreti: Bruce Lee, John Saxon, Jim Kelly, Shih Kien, Ahna Capri, Robert Wall, Angela Mao Ying, Betty Chung, Bolo Yeung, Geoffrey Weeks, Roy Chiao, Yuen Biao, Sammo Hung, Jackie Chan, Marlene Clark
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 102′
Origine: USA, Hong Kong, 1973

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.3
Sending
Il voto dei lettori
4.09 (11 voti)
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    2 commenti

    • Ottimo pezzo, solo un’errata corrige: non è vero che il film fu il secondo maggior incasso del 1973, lo fu fra i film distribuiti dalla Warner (l’esorcista in testa), ma complessivamente fu il quinto maggior incasso in Usa, il secondo a Hong Kong, il 22esimo in Italia etc etc. Questo fatto del secondo maggior incasso rimbalza su molti siti poiché fui io a renderlo noto in Italia nei miei libri anni 90, ma poi è bastato che qualcuno lo riportasse male ed ecco l’equivoco. Inoltre non era una produzione Warner ma una coproduzione sequoia pictures e concord prod. (quest’ultima era la società di Lee e Raymond Chow) distribuzione Warner. Ma sono dettagli che non inficiano la sostanziale esattezza del pezzo. Grazie.

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