La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, di Guillermo del Toro

Nuova trasposizione del romanzo di Gresham, dopo il film del 47. Del Toro trova una sintonia naturale con il mondo dei freaks, ma perde la sua vena più fertile, quando il noir stringe le sue maglie

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Quando Pete, il vecchio mentalista con il vizio dell’alcool, legge nel passato di Stan, il giovane protagonista, cosa vede esattamente? Sì, parla del padre, di vecchi conflitti, poi si schernisce, si giustifica, dice che è tutto mestiere. Del resto ogni ragazzo ha problemi con il proprio padre. Ma noi sappiamo, sin dall’incipit, che quei problemi si sono trasformati in fuoco e tragedia. Che Stan è davvero in fuga dal passato e da sé stesso, da una colpa innominabile. Pete (un David Strathairn perfettamente consumato) ha intuito tutto questo, oppure ha davvero tirato a indovinare? Non si sa, rimane l’ambiguità, un margine oscuro. Che è davvero l’aspetto più interessante di tutta la prima parte di Nightmare Alley, in cui Guillermo del Toro si immerge, per sintonia naturale, in questo mondo di freaks, di fenomeni da baraccone e di imbroglioni, di spettacoli per gonzi, di credulità comprata a buon mercato. Dove però, tra la polvere e la pioggia, circola tutta una serie di segni, di tracce misteriose, di intuizioni che prendono la forma dell’incubo e del sogno. Dove la vita, seppur mostra il suo lato miserevole e crudele, ha ancora un che di umano, si apre ancora alla potenzialità della favola. Quando Stan decide di prendere con sé Molly, la ragazza elettrica, per metter a frutto gli insegnamenti di Zeena e Pete e diventare uno spiritista di successo, le cose cambiano.

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Chissà se è un caso che il cinema nasce e struttura le sue forme proprio nel momento in cui la moda dell’occultismo raggiunge il suo apice nell’Occidente “positivista” e in particolare in America. Del resto, pare che Edison, il primo vero ingegno “industriale” di questa nuova avventura, facesse parte della Società Teosofica, creata a New York da Helena Petrovna Blavatsy nel 1875. Per non tirare in ballo la Golden Dawn, nata intorno al 1888, e Aleister Crowley, che parlava di sé come dell’incarnazione del 666, la Bestia dell’Apocalisse… Iniziazione ed esoterismo, chiaroveggenza e illuminazione, il disvelamento dei segreti del mondo e della vita oltre la morte, la storia rimessa in riga e il futuro divinato. Quanto il cinema c’entra con tutto questo? Superare i confini tra la vita e la morte, il sogno di vincere il tempo, rendere infinitamente replicabile il mondo, aprire, seppur nel trucco della macchina, le porte dell’eternità…

Di sicuro, nella torbida vicenda nata dalla penna di William Lindsay Gresham, certi umori e suggestioni sembrano avere un peso determinante. Lo spiritismo, il mentalismo, tutte quelle pratiche di parapsicologia che cercavano un contatto con l’aldilà e con la dimensione più misteriosa dell’esistenza. E poi i tarocchi. E, ancora, l’uomo-bestia (!), minaccia apocalittica ridotta a fenomeno da baraccone. Oppure la dark lady che, guarda un po’, si chiama Lilith, come il demone femminile per eccellenza della tradizione cabalistica. Che anche il nome del protagonista, Stan, abbia a che fare Satana (ma qui, lo ammettiamo, è solo una nostra perversa congettura…)? Nightmare Alley viene pubblicato nel 1946 e subito diventa un film, l’anno seguente: produzione della 20th Century Fox, Tyrone Power protagonista, Edmund Goulding alla regia. Zanuck ci mette lo zampino, pretende un finale diverso. Ma non è questo il punto ora. Quanto l’immediata connessione con la fabbrica di sogni delle immagini…

Ed è una connessione che Guillermo del Toro deve aver avvertito a pelle. Perché, in fondo, ha sempre guardato al cinema del passato come a un deposito di segreti e di tesori. Ma proprio per questo, la sua nuova versione sembra reggere solo finché la fiera delle illusioni resta in piedi. Fino a che lo schermo dello spettacolo, sospeso nell’incertezza etimologica tra la meraviglia, la mostruosità e la sua necessaria esposizione, è ancora intatto. Nel momento in cui si va dall’altra parte, si squarcia il velo e si entra in città, nei meccanismi del mondo che stritola, là dove brulicano i veri demoni, quelli morali, quelli senza speranza né scrupolo, il residuo magico si perde. E diviene groviglio psicologico. Il noir si fa cupo, denso, e mostra il suo lato più moralista. Il destino stringe la sua trama e diviene implacabile. La colpa non ha più possibilità di redenzione. Il cerchio si chiude. Per quanto la storia mantenga i suoi elementi di interesse, per quanto le star mettano in gioco tutto il loro mestiere, del Toro sembra perdere la sua vena più fertile. Si muove in una specie di Gotham City e si accontenta della calligrafia, di un repertorio visivo e di un apparato scenografico di rimando. Diventa l’esecutore di una volontà scritta altrove, in un altro tempo e in un altro mondo. Guarda al passato, semplicemente. E quando il cinema guarda solo al passato, non ha molto speranza. La memoria perde la profezia. E se è vero che la profezia è sempre stata vicina all’inganno, alla menzogna, alla follia, è pur vero che i segni esistono, quelle connessioni impreviste che aprono spazi di libertà.

 

Titolo originale: Nightmare Alley
Regia: Guillermo del Toro
Interpreti: Bradley Cooper, Rooney Mara, Cate Blanchett, Toni Collette, Willem Dafoe, David Strathairn, Richard Jenkins, Ron Perlman
Distribuzione: The Walt Disney Company Italia
Durata: 150’
Origine: USA, Messico, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
2.9 (39 voti)
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