La ligne. La linea invisibile, di Ursula Meier

La regista elabora una sinfonia struggente continuando ad aggiornare i codici di un cinema “familiare” composito gestito con sorprendente delicatezza.

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“Le passé est lourd il me fait l’effet d’un poids mort
Le passé est là il me jauge il me juge il me mord”
[…]
“Le passé est lourd mais je l’ai dans la peau dans le corps
Le passé est lourd il s’arroge les éloges des morts
Le passé est vil et j’enfile quelques perles quelques accords
Le passé est vain et je n’ai presque aucun remord
Le passé est vain et je n’ai presque aucun remord”

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Il passato è vano e non ho quasi alcun rimorso“. Gioca sui “quasi” Ursula Meier; passeggia inquieta, sfiorando la sottile ligne bluastra che traccia l’invalicabile confine tra due vite. Cento metri d’aria e tre mesi di tempo per separare Christina (Valeria Bruni Tedeschi) dalla figlia trentenne Margaret (Stéphanie Blanchoud), responsabile di aver aggredito la madre nel corso di una lite e in attesa di giudizio.

Non si arresta Ursula Meier; continua ad aggiungere tasselli, proseguendo nel discorso relazionale intrapreso con Home e Sister e aggiornando i codici di un cinema “familiare” che non rinuncia ad inerpicarsi con caparbietà sugli irti sentieri dei rapporti interpersonali. La ligne. La linea invisibile si insinua, non resta placida ad osservare. Fluttua nello spazio fisico – e virtuale – che divide i suoi protagonisti. Gestisce con sorprendente delicatezza una complessa polifonia prospettica (e tematica), vestendosi da madre, figlia e sorella e affidando alla musica il compito di abbozzare, definire e infine elevare la costante dialettica di sguardi e parole che intelaiano il film.

In La ligne. La linea invisibile tutto passa per la musica. Meier elabora uno spartito di cui Blanchoud, Bruni Tedeschi, Spagnolo, Benssalah e Hair costituiscono le 5 linee di un pentagramma a stragrande maggioranza femminile, all’interno di un universo “simil-Greta Gerwig” dove piccole e grandi donne crescono – o provano a farlo. Non vi è emozione, situazione o punto di svolta che il film non trasformi in musica. Composizioni classiche, per pianoforte o per chitarra; La ligne. La linea invisibile trova note e accordi per descrivere violenza (in apertura), dolore e attimi di gioia sospesa, calma e frenesia, ricordi e futuri in potenza. La musica supera le parole quando scava nelle frustrazioni e (in parte) negli egoismi del ruolo genitoriale ed espande la propria aura perfino “in absentia”, nei rari intervalli riempiti da urla di rabbia, vagiti di neonati e silenzio – anche rischiando, a tratti, didatticismi fin troppo espliciti (“Non ci sarà più musica in questa casa”).

La ligne. La linea invisibile è forse, in definitiva, una lunga, struggente canzone. Una di quelle che perdurano e, pur senza fronzoli o velleità, continuano a ritornare, come la sua protagonista. Una canzone cruda, diretta, che non si affanna al conforto né si forza alla catarsi. Perché tra madre e figlia “non si capisce se cento metri sia lontano oppure no“, ma non occorrono linee di separazione a chi ha dimenticato come guardarsi negli occhi.

 

Titolo originale: La ligne
Regia: Ursula Meier
Interpreti: Stéphanie Blanchoud, Valeria Bruni Tedeschi, Elli Spagnolo, Dali Benssalah, India Hair, Benjamin Biolay, Eric Ruf, Thomas Wiesel, Louis Gence
Distribuzione: Satine Film
Durata: 101′
Origine: Francia, Belgio, Svizzera 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
Sending
Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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    Un commento

    • In Sinfonia d’autunno di Ingmar Bergman c’è una madre pianista che ha anteposto la carriera alle due figlie di cui una con handicap: forse più di una coincidenza. Però lì eravamo all’università della drammaturgia cinematografica e due attrici come Ingrid Bergman e Liv Ullman sapevano recitare muovendo solo gli occhi. Indimenticabile la lezione sulla musica di Chopin. Paolo Grosso