Quell’estate con Irène, di Carlo Sironi

Un film di respiri profondi, attimi rubati che ricrea atmosfere di un tempo passato, di grande maturità, profondamente sentito, forse il nostro Aftersun. BERLINALE74. Generation 14plus

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Forse tutto comincia dagli occhi. Possono restare sempre aperti, per vedere tutto quello che abbiamo davanti fino all’ultimo respiro. Oppure restare chiusi, come in quella scena del movimento in cerchio. In entrambi i casi Quell’estate con Irène, il secondo lungometraggio di Carlo Sironi dopo Sole, rivive il passato attraverso il cinema come se fosse un lungo sogno ininterrotto.

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Ambientato durante l’estate del 1997, il film ha come protagoniste Clara e Irène che si conoscono nel corso di una gita dell’ospedale che le ha in cura. Hanno entrambe 17 anni ma caratteri completamente diversi. Clara è timida e solitaria, Irène è sfacciata e piena di energia. La cosa che hanno in comune è la presenza della malattia con cui sono costrette a convivere. Dopo essersi appena conosciute, trovano il coraggio per fare quello che non avrebbero mai immaginato: scappare insieme e partire per un’isola per trascorrere un’estate come non l’avrebbero mai immaginata.

È un cinema di respiri profondi, di attimi rubati quello di Quell’estate con Irène, a cominciare dai primi piani sul pullman all’inizio del film. “Non voglio che tutto torni come prima” dice Irène a Clara. Sironi trova con grazia e immediatezza la ricerca (im)possibile della normalità: una gita in barca con altri coetanei di una comitiva, la paura e l’esaltazione di un primo bacio, la vergogna di mostrare il proprio corpo. Sembra guardare il cinema adolescenziale francese, saltando anche verso Rohmer (Pauline à la plage) e Assayas (L’eau froide). Sono legami quasi sicuramente non cercati ma che risaltano proprio perché quello di Sironi è un film che più che il ricordo oggettivo ne ricerca l’atmosfera, le sensazioni, gli odori. Il sole che scotta, il sangue su un piede. Per questo guarda ma non ammicca modelli preesistenti, ma invece segue una direzione ben precisa supportato anche dalla bravura delle due protagoniste Noée Abita e Camilla Brandenburg che, in modi diversi, dominano l’inquadratura ma creano quel legame con lo spazio con un’intensità che richiama il cinema di Antonioni.

Quell’estate con Irène è un’opera non solo di grande maturità ma profondamente sentita, che si chiede come poter portare sullo schermo le emozioni che si provano in un certo momento e dargli una forma, ma che utilizza il cinema anche come creazione di tante possibili, infinite storie come avviene quando le due ragazze simulano i dialoghi delle persone che riprendono con la telecamera e fanno il verso dei baci. Ma è anche un film sul tempo delle stagioni (e della vita) dove anche il semplice arrivo di un temporale diventa un’istantanea indelebile. In Quell’estate con Irène restano tutti i gesti, anche quelli più normali come la scena di Clara che asciuga i capelli a Irène. Un ritratto della giovinezza con le ombre della morte ma che respira vita in ogni fotogramma. Forse è il nostro Aftersun.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
3.33 (6 voti)
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