Pauline à la plage, di Eric Rohmer

Uno degli esiti più felici della filmografia di Rohmer. Film balneare, romanzo di formazione, apologo morale e meta-cinema, sorretto dallo sguardo della giovanissima Amanda Langlet. Su Mubi

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Pauline non ha più quindici anni. Sta anzi per compierne quaranta. Sono trascorse numerose estati da quella del 1983, quando Rohmer, alla vigilia delle riprese de La femme de l’aviateur, si dedicava già alla stesura del prossimo lavoro, sviluppando e adattando al contesto degli anni Ottanta una storia ripescata tra le sue annotazioni di molto tempo prima. Per il suo terzo film del ciclo “Commedie e proverbi”, il regista guarda a Racine, alla sua Andromaca, ritrovando in quel girotondo di desideri smarriti tra inseguiti e inseguitori una sensibilità affine, per quanto riletta sempre attraverso la leggerezza di Marivaux.

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E dunque: la procace parigina Marion arriva nella casa di vacanze in Normandia con la cuginetta adolescente Pauline, per trascorrere in tranquillità gli ultimi giorni d’estate. Ma le giornate alla spiaggia e le letture nel giardino di ortensie sono presto turbate da vecchi e nuovi incontri. Le due ragazze ritrovano il romantico Pierre, da sempre innamorato di Marion, e Henry, sfuggente etnologo che mette in moto la caccia amorosa dei vari personaggi, a cui presto si aggiungeranno l’adolescente Sylvain e la venditrice di caramelle Louisette.
Se l’impianto narrativo appare puramente teatrale, con personaggi particolarmente dogmatici, maschere classiche portatrici di valori predeterminati, la messinscena introduce presto una riflessione teorica sull’immagine.

Per quanto lo stesso Rohmer ribadisca più volte che l’ispirazione teatrale risulti ai suoi occhi meno dannosa per il cinema della dimensione “meta” particolarmente in voga in quegli anni prossimi al postmoderno, firma poi con Pauline à la plage il suo La finestra sul cortile, il suo Effetto notte, o almeno la sua opera più riflessiva sul linguaggio cinematografico. Perché dopo un primo momento dedicato a illustrare la filosofia di vita dei suoi protagonisti, l’azione si concentra attorno a un intrigo, tutto compreso nella dialettica tra immagine e parola: Pierre vede incorniciata nella finestra della camera di Henry la giovane Louisette ma l’uomo che presumibilmente è con lei rimane fuori campo, prestando il fianco a varie combinazioni e soluzioni possibili. La parola corre di bocca in bocca ma l’immagine mancante, confidata solo allo spettatore, ne svia la traiettoria, creando un illusorio gioco di specchi dal quale ognuno alla fine trarrà la propria verità.
Film balneare – il secondo dopo il racconto morale de La collezionista (1967), a cui seguiranno poi Il raggio verde (1986) e Racconto d’estate (1996) – romanzo di formazione, apologo morale e meta-cinema: Pauline à la plage è uno degli esiti più felici nella lunga filmografia rohmeriana, una delle opere in cui emerge in maniera lampante la maestria di Rohmer nell’orchestrare intrecci leggeri eppure aperti a infiniti livelli di lettura. La sua capacità di fare cinema con troupe ridotte all’osso (attori e crew qui vivevano nella casa delle riprese, di proprietà dei genitori dell’assistente alla regia…), di aprirsi all’imprevisto e inglobarlo in una scrittura tanto accurata in fase preparatoria quanto libera al momento delle riprese.

È in questo modo che trova una delle sue protagoniste più belle: Pauline diventa il centro dell’opera grazie all’interpretazione dell’allora sconosciuta Amanda Langlet, scelta quasi per caso, pescando una foto nel catalogo bambini della SFP, la società dei produttori francesi. Amanda passeggia con Rohmer, va con lui al cinema a vedere La femme de l’aviateur, si racconta, improvvisa e porta in quello che inizialmente doveva chiamarsi Loup y es-tu? il suo pensiero sul mondo, sui sentimenti, diventando il punto di vista dell’opera, uno sguardo, ancora sospeso tra infanzia e adolescenza, sul mondo spesso squallido degli adulti. “Alla mia età non si parla, si ascolta”, dice Pauline, interpellata da Henry, mettendo così una pietra sopra i compiaciuti monologhi degli altri. Uno sguardo insolitamente puro, privo di qualunque cinismo, spielberghiano, che Rohmer premia riconoscendogli a riprese ultimate una centralità non prevista e dedicandogli il titolo del film.

 

Titolo originale: id.
Regia: Eric Rohmer
Interpreti: Amanda Langlet, Arielle Dombasle, Pascal Greggory, Féodor Atkine, Simon de la Brosse, Rosette
Distribuzione: MUBI
Durata: 94′
Origine: Francia, 1982
Genere: commedia, sentimentale

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.6
Sending
Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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