Sergio Rubini al Festival del Cinema Europeo di Lecce

In occasione della consegna dell’Ulivo d’Oro, Premio alla Carriera del festival pugliese, l’attore e regista ha raccontato i suoi nuovi progetti suo rapporto con la regione in cui è nato.

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Al Festival del Cinema Europeo di Lecce per ricevere l’Ulivo d’Oro Alla Carriera, Sergio Rubini ha incontrato la stampa, svelando alcuni segreti sulla sua carriera passata e futura. Con non poca ironia, Rubini ha ammesso di ritenere il premio “un po’ come i midterm americani, le elezioni di metà mandato. Vengo dalla lezione di Fellini che diceva che i premi alla carriera portano male”. Ma poi è tornato subito serio: “Si tratta di un premio di metà percorso, è una spinta, un incentivo per fare le cose al meglio. Mi fa piacere ricevere questo premio a Lecce, perché questa terra è stata cambiata dal cinema. Ma anche dalla musica, dal cibo. Tramite sapienti politiche la Puglia ha ribaltato completamente la propria storia, è diventata una terra ricca. Qui si è capito che con la cultura si mangia e si produce ricchezza“. Nato in Puglia (che arriva definire “un teatro di posa” per lui), l’attore e regista ha raccontato di come i suoi sogni siano spesso ambientati a Grumo Appula, sua città natale, nonostante lui sia ormai diventato “altro”. “A me fa piacere che vengano tutti a girare in Puglia, ma lo dico con la spocchia di chi ha girato in Puglia un film nel 1999, quando qui non erano arrivati nemmeno i Lumiere ancora“. Rubini ha infine affermato di avere la sensazione che gli altri registi che girano in Puglia “inquadrino le cose dall’esterno, mentre lui lo fa “dall’interno”.

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Riguardo ai nuovi progetti in cantiere l’attore ha svelato: “Sto scrivendo una serie per Rai Uno di cui sarò regista. Una serie in due puntate, una miniserie. Per me in realtà è più una maxi serie perché è un’operazione a cui sono molto legato, è infatti un progetto a cui io e il mio produttore pensiamo a più di vent’anni e che si sta concretizzando solo ora. La sto scrivendo con Angelo Pasquini e con la mia compagna Carla Cavalluzzi, che scrive con me da tanto tempo i miei film”. Al momento i dettagli sono pochi, ma si sa che si tratta di una serie su un poeta dell’ ‘800. “Inoltre, sarò anche ad attore nel primo film diretto da Margherita Buy, che si inizierà a girare a gennaio. Mi accingo a farlo con curiosità e con una nota di dolcezza, come potete immaginare“.

Lavorare con un’esordiente è sempre un’opportunità” ha continuato Rubini. “Ho potuto fare prima il penultimo film di Fellini (Intervista, 1987) e poi il primo film di Piccioni (Il grande Bleck, 1987). Ho notato che non c’era differenza, entrambi mettevano la stessa energia, lo stesso amore, la stessa partecipazione. è sorprendente quando un adulto riesce a mantenersi bambino e quando il bambino ha la tenacia e la forza di un adulto.” Riguardo ad uno dei suoi ultimi lavori come interprete, quello per Felicità, esordio alla regia di Micaela Ramazzotti, ha dichiarato: “è stato fantastico, perché lei ha raccontato la sua storia ha aperto uno squarcio, narrando qualcosa che la riguardava direttamente. E anche Margherita nel prossimo film farà la stessa cosa, anche lei racconta una sua ferita. Un film per un artista serve sempre a medicare qualcosa, a denunciare una sgrammaticatura. L’arte denuncia sempre qualcosa, oppure cura una ferita.” Quando non fa nessuna di queste cose, secondo Rubini, “è solo propaganda“.

Ad una domanda riguardante rimpianti su ruoli del passato, Rubini ammette di non averne in particolare, tranne uno: “Luchetti mi propose, da ragazzino, di fare il suo primo film, Domani accadrà. Ma il mio agente mi chiese di rifiutare per fare un film di un regista, già adulto, che non aveva mai debuttato e che aspettava di fare il film da anni, dicendo che sicuramente sarebbe stato meglio che fare un film con un ragazzo esordiente. Luchetti venne sotto casa mia, quando rifiutai il suo film, e disse: ‘Te ne pentirai’ e infatti io me ne sono pentito“.

Parlando del rapporto fra cinema e teatro Rubini ha spiegato come lui ritenga che l’ossessione italiana per il neorealismo abbia creato una sorta di sospetto per gli attori formati, teatrali. Ma nonostante “noi italiani abbiamo esportato il neorealismo quasi quanto la pizza nel mondo” questa tendenza è rimasta prevalente nel nostro paese, non si è espansa al di fuori. Secondo il cineasta però “Il teatro e il cinema sono due mondi contigui, il cinema si ciba di teatro e il teatro si ciba di cinema” e chi conosce bene entrambe le realtà ha sicuramente qualcosa in più da offrire. Quello dell’attore è “l’unico mestiere al mondo in cui ciò che ti viene richiesto è disimparare quotidianamente tutto e riproporti il giorno appresso assolutamente vergine. Pieno di stupore e meraviglia. L’attore mette a disposizione la propria nudità, la propria inesperienza. Il mestiere di un artista è il mestiere di un esploratore.” Ma oltre allo stupore, all’aspetto ludico, ci sono anche il timore e la paura. Nonostante è normale volersi risparmiare alcuni degli aspetti negativi del proprio lavoro, Rubini conclude: “Grazie al cielo però ne sono ancora ammalato di questa inesperienza”.

Mi piacciono i film autobiografici perché ci si può raccontare. Ma non perché ci si possa raccontare attraverso la propria storia, ma attraverso quello che non si ha mai vissuto” ha inoltre affermato. Questi film possono essere riempiti di “menzogne“, perché “noi non siamo il prodotto di ciò che vorremmo essere, la vita ci piega, ci modifica, ci trasforma. Noi siamo veri quando raccontiamo delle belle baggianate. In quel momento noi ci raccontiamo davvero, perché diciamo ciò che avremmo voluto essere. Raccontare invece ciò che siamo è raccontare una menzogna, quella non è la parte più profonda di noi…

Ad una provocatoria domanda sul rapporto fra il cinema, l’economia e l’attuale politica Rubini ha risposto: “Dobbiamo stare attenti a non mettere in svendita il nostro paese”. Negli ultimi anni i produttori cinematografici italiani sono diventati quasi tutti AD delle grandi case di produzione straniere, ma “se si vende un’azienda culturale il rischio è quello di vendere la propria identità“. “Non bisogna certamente interrompere questo flusso virtuoso di denaro, ma non premiando chi riesce a non vendere si rischia di far sparire i piccoli produttori, che spariscano i produttori indipendenti, i quali garantiscono l’eterogeneità e l’artigianalità del cinema“. Ha continuato l’attore: “Molti documentari che raccontano la nostra storia, il rinascimento, la Roma imperiale, sono tedeschi, inglesi, noi invece nel mondo esportiamo solo racconti che hanno a che fare con la droga, con la mafia. Dobbiamo tornare ad essere noi i narratori della nostra storia. Questo è un discorso che la destra appena salita dovrebbe comprendere, vediamo se avrà questa sensibilità culturale, da uomo di sinistra sono curioso di vedere cosa succederà.”

Riguardo infine alla speranza che i giovani si avvicinino o meno al suo cinema, Rubini ha spiegato: “Prendo di nuovo spunto da Fellini che diceva che i film hanno vita lunga. Se non riesco a catturare un quindicenne di oggi con un mio film non importa, magari lo guarderà quando avrà trent’anni. Il mio desiderio è quello di fare film che abbiano una lunga viva e che sopravvivano all’indifferenza di oggi per riuscire a catturare l’attenzione di domani.

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