Stringimi forte, di Mathieu Amalric

Dalla sezione Cannes Premiere dell’edizione 2021, il film di Amalric è una suite che rivela definitivamente l’anima musicale del suo cinema, una girandola interiore che passa da Debussy a Schoenberg

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Stringimi forte è il film di Amalric che esplicita definitivamente la natura musicale del suo cinema da regista: per comprenderne appieno il meccanismo compositivo combinatorio dissonante, annunciato già dall’inquadratura iniziale sulle polaroid al rovescio da rimettere in ordine nello schema sul letto della protagonista, bisognerebbe probabilmente recuperare gli episodi del documentario aperto, in progress, che Amalric sta realizzando da un po’ di tempo sul guru dell’avant contemporanea John Zorn. La progressione frammentaria ed eccentrica con cui si sedimentano le sequenze e gli sprazzi di Stringimi forte somiglia da vicino ai celebri card games con cui Zorn conduce i propri ensemble “torturandoli” in continui cambi di ritmo, di melodia, di stile.
E’ vero, le storie di Amalric siamo abituati a vederle raccontate in questa maniera dai tempi di Le stade di Wimbledon fino al penultimo Barbara (anche quello un film incentrato sulla musica, ma non lo era in sostanza pure Tournée?), ma stavolta è tutto il dispositivo a ruotare intorno ad un espediente stilistico costruito per inseguire e restituirci un’interiorità spezzata, stravolta, traumatizzata, alla perenne e affannosa ricerca di pulviscoli di luce nell’oscurità in cui è piombata (di nuovo la metafora delle ombre impresse sulle polaroid).
Amalric azzarda senza paura, imbastendo una giravolta di ricordi, fantasmi, rievocazioni, flashback forse solo sognati, in cui il personaggio della Vicky Krieps de Il filo nascosto, Bergman Island e Old (chiamata ad una performance estenuante, i cui primi piani e la cui figura dinoccolata sono letteralmente le uniche bussole – difettate? – in possesso dello spettatore per orientarsi nel magma di immagini) assume apertamente il ruolo del “regista interno” alle singole sequenze, chiamando a sé i figli e l’uomo amato, visitati nelle visioni e nelle memorie, e indirizzando le loro azioni e parole, come se questi potessero sentirla per telepatia, attraverso distanze spaziotemporali siderali.

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A stringerci forte siamo dunque noi intorno a un film che cerca disperatamente, ed esponendosi al fallimento umano, di rinnovare l’atto di fede nei confronti della capacità del cinema di farsi luce, vita, realtà alternativa: la prima mezz’ora vive davvero di un equilibrio magico, una vera e propria suite che ruota intorno ai refrain, alle variazioni sul tema, agli assoli – poi la struttura tende a perdere questa gonfia spontaneità rischiando in più punti di risultare meccanica e un po’ ridondante, specie quando la donna inizia a cercare “raddoppi” e reincarnazioni all’esterno di questa sua straziante vita interiore.
Anche stavolta, a sostenere la macchina immaginifica è in realtà l’apparato musicale, che gira intorno a diverse esecuzioni per pianoforte, mai puro accompagnamento alle immagini ma linea parallela che dialoga costantemente con le emozioni che il film fa esplodere senza tregua, in qualche maniera attraversando l’intero range dei sentimenti passando da Beethoven a Debussy, da Mozart a Ligeti, da Schoenberg a Rachmaninov: in queste partiture, vero cordone ombelicale fortissimo tra la protagonista e la figlia e spesso eseguite in scena, si cela l’anima più profonda e irrequieta dell’esperimento di Amalric.

Titolo originale: Serre-moi fort
Regia. Mathieu Amalric
Interpreti: Vicky Krieps, Arieh Worthalter, Anne-Sophie Bowen-Chatet, Sacha Ardilly, Juliette Benveniste, Aurèle Grzesik, Aurélia Petit, Erwan Ribard, Cuca Bañeres Flos, Samuel Mathieu, Jean-Philippe Petit, Clémentine Carrié
Distribuzione: Movies Inspired
Durata: 97′
Origine: Francia, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
Sending
Il voto dei lettori
1.85 (27 voti)
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