CINEMA – 1a Festa Internazionale di Roma – Pazzo nano-mondo: "Grido", di Pippo Delbono (Extra)

Non si sa se ridere o piangere: in questa compresenza assoluta di comico e tragico si ritrova incarnata la grande modalità tragica moderna. La visione di Delbono è condensato e clamoroso inno alla libertà e all'impossibile, e a quella ingenua e illuminante parodia della libertà che è il cinema per il teatro, mostro di poetica autodistruzione.

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C'è molto spazio là in fondo, in fondo alle sale praticamente vuote della Festa, in fondo al palcoscenico di un teatro o di una esistenza rinchiusa per anni in un manicomio, in un condominio da cui non puoi più uscire. Non si sa se ridere o piangere: in questa compresenza assoluta di comico e tragico si ritrova incarnata la grande modalità tragica moderna. Pippo Delbono, grandissimo e geniale regista teatrale, ha sentito la necessità di raccontare un'esperienza che lo ha segnato. Una lavorazione di due anni per estrarre l'essenza di una storia molto più lunga. Non c'è sceneggiatura, ma personaggi veri con il desiderio di cercare nel linguaggio cinematografico la libertà del volo, dell'irreale, del sogno, della poesia. Senza perdere la coscienza della verità. Il film nasce grazie anche all'appoggio produttivo di Marco Muller e attraverso vibranti scenari metropolitani e luoghi assolutamente originali come l'ex Ospedale Psichiatrico di Aversa, da cui si avvia la narrazione con l'incontro tra Pippo Delbono e il piccolo angelo sordomuto Bobò. Analfabeta e "pecora nera", Bobò rappresenta il punto di arrivo e ripartenza per il teatro e la visionarietà assoluta di Delbono, dopo la straziante e travolgente amicizia con Vittorio, morto in un incidente. Nella sperimentazione video, il cinema che non lavora direttamente sull'emozione, non chiede alle immagini di rielaborare un'emozione legata a una precisa memoria , ma chiede l'attenzione ai corpi, ai ritmi, all'energia che ci rende sempre presenti e nello stesso tempo incoscienti. Immagini sincere che non riguardano l'emozionarsi ma la consapevolezza di un movimento, di un impulso vero. Così è Bobò: il suo corpo non può mentire neanche sul grande schermo, ogni suo piccolo movimento è il massimo che può fare, perché vive nel presente, completamente. Così le parole non sono tutto, il teatro al cinema, o il cinema del teatro è un grido che deve prenderti con gli occhi, il naso, la bocca, il cuore. Il processo creativo è un po' come un urlo, un grido, l'unione con un mistero, un avvicinarsi a qualcosa di trascendentale. Nel cinema Delbono scopre e mostra ancora di più la bellezza dove non si vede. I suoi gesti ricorrenti (il soffio nella bottiglia vuota che poco prima ha svuotato sulla sua testa) si ricompongono, vengono montati all'interno di una scansione ritmica e creano la sequenza del suo dolore e della sua forza. Quei gesti sono anche pieni di rabbia. Perché il male non lo si può accettare. Sono anche traboccanti di tenerezza, quei gesti, perché il male lo subiamo tutti, e senza colpa. Nel dolore siamo sempre soli, non lo potremo mai comunicare davvero. Pippo Delbono, in questa Festa del cinema ancora da scoprire, sembra non avere mediazioni: il suo è uno sguardo semplice, condensato e clamoroso inno alla libertà e all'impossibile, e a quella ingenua e illuminante parodia della libertà che è il cinema per il teatro, mostro di poetica autodistruzione.

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