FILMAKING HISTORY – "Che – L'argentino", di Steven Soderbergh

che l'argentino
Il fascino di Che – L'argentino sta nell'idea (questa sì rivoluzionaria) che la Storia non sia impossibile da raccontare. E' nella sfida utopistica del filmare, e di fare in modo che questo filmare sappia ri-costruire la Storia, che risiede il valore inattuale dell'operazione

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benicio del toro in che - l'argentino di steven soderberghA quasi un anno di distanza dalla controversa e fluviale proiezione cannense, esce in Italia divisa in due parti l'opera più ambiziosa e sotto certi aspetti spiazzante di Steven Soderbergh. In attesa del secondo capitolo Guerriglia, L'argentino racconta, con attenzione storica e un approccio ricco di digressioni minimaliste, l'ascesa di Che Guevara come combattente e paladino della lotta rivoluzionaria organizzata da Fidel Castro per destituire il Generale Fulgencio Batista.
Nei 130' che compongono questo primo capitolo,  Soderbergh si conferma ancora una volta a suo agio soprattutto come cantore postmoderno della registrazione audiovisiva (da subito evocata con la prova microfono che apre il film e nello stile da reportage anni '60 con cui viene raccontata tutta la sezione in bianconero ambientata a New York durante l'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1964). Da questo punto di vista il suo primo film su Guevara, a sua volta cromaticamente e stilisticamente diviso in due, non è poi tanto diverso dalle metamorfosi di superficie provenienti da Traffic, Solaris e Full Frontal, rivelandosi quindi come l'ennesimo tassello teorico/artigianale del regista americano.

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Benicio del Toro in CheSoderbergh, che è sempre stato Autore inesistente ma grande Filmaker – nell'accezione prettamente "pratica" del termine, al punto che l'intera sua filmografia potrebbe esser letta, con un certo azzardo, davvero come la parabola furba e illuminata di un videoamatore di lusso – forse per la prima volta prova a "sporcarsi" le mani immergendosi nel set malickiano dell'isola cubana con la sua RED, cinepresa digitale leggera e innovativa, sperimentata dal regista americano anche in Guerriglia. Il paradosso è che anche in quello che poteva essere il suo progetto più sbilanciato e materico – in attesa ovviamente di Guerriglia, che si preannuncia più radicale ed herzoghiano – Soderbergh persegue invece il suo "metodo" a distanza (macchina da presa fissa, campi medi, voice over a "smorzare" gli effetti sonori delle scene action). Nel suo percorrere una strada altra, L'argentino rischia di scontentare sia i fautori del grande biopic umanistico che quelli dell'epica spettacolarizzata, eppure in realtà forse mai come stavolta la cerebralità di Soderbergh è l'unica via intermedia possibile per tagliare trasversalmente un'operazione già sulla carta impossibile.  Il fascino di Che – L'argentino sta allora nell'idea (questa sì rivoluzionaria) che la Storia non sia impossibile da raccontare. E' nella sfida utopistica del filmare, e di fare in modo che questo filmare sappia ri-costruire la Storia, che risiede il valore inattuale dell'operazione – inattualità anche interpretativa, con Benicio Del Toro che pur essendo Guevara fa di tutto per non ricordarcelo mai, fino a confondersi coi tanti comprimari che lo affiancano nella rivoluzione e arrivare a essere coprotagonista, assieme a tanti altri Nessuno, della Storia.

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Titolo originale: The Argentine
Regia: Steven Soderbergh
Interpreti: Benicio Del Toro, Demian Bichir, Santiago Cabrera, Elvira Minguez
Distribuzione: Bim
Durata: 131'
Origine: Usa, 2008
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    8 commenti

    • Credo che la recensione centri uno dei punti più importanti del film, la resa della imprescindibile dimensione corale della rivoluzione cubana. Questa emerge sia attraverso la recitazione di Del Toro, sia attraverso il modo in cui la sceneggiatura organizza i personaggi e i loro rapporti.<br />Mi sembra giusto anche notare, come Carlo Valeri ha fatto, l'attenzione storica con cui il film è stato realizzato. Elemento degno di nota in un film USA, al di là del fatto che Soderbergh riesce solo fino a un certo punto ad andare oltre la tendenza (anche questa USA) a vedere la storia esclusivamente attraverso connaturate lenti "pop" (a distanza, certe volte, Che Guevara e gli altri non sembrano che "figurine"). Forse questo è il risultato (imprevisto) del tentativo del film di mantenersi ad una distanza più oggettiva possibile, che poco spazio lascia al lato umano. Senza questa distanza, del resto, tutta l'operazione sarebbe diventata indifendibile.

    • the_big_bertoski

      Soderbergh compie anche un’altra operazione, quella di demitizzare la figura del Che per restituirla alla Storia e alle sue dinamiche (oltre che alla sua ricostruzione). E nel far questo ce ne offre una visione poliedrica. Guevara è più personaggi insieme. Il dottore, il rivoluzionario, il guerrigliero, il politico, l’amico, l’insegnante. Per questo forse nessuno ce lo ricorda, perché di Guevara abbiamo un’immagine fissa, monolitica. Quella del Mito. E invece Guevara è l’uomo che non fa distinzione tra pensiero ed azione. E’ un’intellettuale che non ha paura di sporcarsi le mani. Forse il pregio maggiore di Soderbergh è quello di aver colto proprio questo spirito, trasformandolo in immagini, ricordandoci che le rivoluzioni non si fanno a tavolino, ma nello spazio che esiste fra le cose, tra le persone, in una giungla come in una città.

    • sono d'accordo con entrambi i commenti. è proprio questa strategia della "dispersione" storica e umana a dare all'intero progetto una dimensione inedita e per certi aspetti antiguevariana (intendendo in questo caso l'immagine iconica che la società consumistico-culturale, ma anche ideologica,ha costruito sul Che). soderbergh sia drammaturgicamente che esteticamente ha forse fatto davvero il film più antiamericano e marxista degli ultimi anni

    • Mi pare che stiate pericolosamente esagerando con gli appellativi e gli aggettivi – di cui l'unico buono a descrivere questo film è "soporifero"…

    • Fabrizio Attisani

      Mi pareva strano che non intervenisse nessuno per rovinare questo interessante dibattito. Comunque…<br />Quello che scrivete è giusto e lo condivido, specialmente a una seconda visione del film. Però non vi pare che la suddivisione bianco&nero/colore e macchina fissa/a mano sia un po' troppo rigida, tanto da far venire il sospetto del vezzo autoriale? Per quanto, poi, l'immagine(del)Che ne emerga in contrasto in tutta la sua chiarezza/complessità. Soderbergh è sì il regista di Ocean's thirteen e L'inglese, ma anche (e purtroppo) di Traffic e Intrigo a Berlino. Insomma, non si può negare che sia regista mai meno che interessante, eppure allo stesso tempo si tratta di un cineasta di cui è difficile innamorarsi: soprattutto di fronte a un progetto da cui era lecito aspettarsi il titanismo romantico di un Herzog o il furore di uno Stone. In attesa della seconda parte, ovviamente.

    • direi che è pienamente condivisibile il giudizio su soderbergh come cineasta di cui è difficile innamorarsi (per quanto continui a credere che il suo SOLARIS – e a sprazzi SESSO BUGIE e OUT OF SIGHT – sia un film davvero molto intenso e romantico). chiaramente anche CHE L'argentino nasconde una cerebralità stilistica costante nella sua filmografia, che si può anche odiare. trovo però interessante in soderbergh la totale mancanza di autorialità contrapposta a una pienezza di forma che a conti fatti si rivela essere paradossalmente meno narcisistica rispetto a molti registi occidentali. a suo modo soderbergh non cambia mai il (non)senso del suo cinema, è come se ogni volta spettasse al testo e al profilmico non solo di imporre lo stile, ma proprio di "essere" il film e/o il cinema di soderbergh. e comunque è quantomeno curioso che un solo articolo sul CHE abbia scatenato più commenti di tutto uno speciale dedicato all'incommensurabile JAMES GRAY.

    • Carlo, è quello che aveva previsto Soderbergh quando ha deciso di spendere milioni di dollari per fare un film su Che Guevara :)<br />solo per sdrammatizzare… 😉

    • Fabrizio Attisani

      Gray, proprio perché incommensurabile, nella sua perentoria eppure leggera classicità, rende incommentabile ogni analisi. Che quindi acquista un'importanza ancora maggiore, quale testimonianza critica necessaria di un cinema altrettanto necessario. Come gli articoli su The wrestler o Gran Torino.<br />E poi sì, c'è anche la questione dei milioni spesi da Soderbergh per girare L'argentino: solo i soldi spesi per la Red One Camera (per quanto economica) bastavano per comprarsi una Gran Torino del '72………