VENEZIA 66 – "Io sono l'amore", di Luca Guadagnino

io sono l'amore

Gli ingredienti base per potersi riallacciare alla tradizione delle grandi "saghe familiari" del cinema sono tutti presenti nel film di Guadagnino. E tuttavia l’incapacità di tenere in mano i fili della narrazione precipita la storia verso un’irritante immobilità.

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Si intravede nel film presentato al Festival di Venezia dal regista Luca Guadagnino il tentativo di riallacciarsi alla tradizione delle “grandi saghe familiari” che in tante occasioni hanno permesso al cinema di guardare ad un microcosmo chiuso in sé stesso per ricercare la chiave di lettura di una società in trasformazione (il viscontiano La caduta degli dei ne è un esempio lampante).
Gli ingredienti base ci sono tutti: una ricca famiglia dell’alta borghesia imprenditoriale milanese, la riunione familiare da tenersi rigorosamente tra lo scintillio dell’argenteria appena lucidata e l’andirivieni della servitù al completo, il vecchio patriarca pronto a ritirarsi dalla scena per lasciare le redini del gioco nelle mani delle future generazioni e quella tipica, ipocrita coesione inter-individuale utile solo a mascherare delle ben più profonde lacerazioni.
A dispetto dell’apparente coralità del film, una figura spicca su tutte le altre. È quella di Emma (Tilda Swinton), moglie di Tancredi (Pippo Del Bono) designato, insieme al figlio Edoardo (Flavio Parenti), come erede alla guida della fabbrica di famiglia dal vecchio padre. È una figura border-line quella del personaggio interpretato dalla Swinton, dentro e fuori, nello stesso tempo, dal blocco marmoreo della famiglia. Il solo bagliore di luce che la donna riesce a scorgere oltre la cerchia dei suoi familiari è rappresentato dal giovane cuoco Antonio (Edoardo Gabriellini), amico del figlio Edoardo, con il quale Emma intrattiene una relazione extraconiugale. 
Impermeabilità. Questa è la parola chiave per connotare al meglio la famiglia Recchi. "Se vogliamo che tutto resti com'è, bisogna che -nulla – cambi" si potrebbe dire ribaltando il senso della celebre frase tratta dalla grande saga familiare di Tomasi di Lampedusa. Niente deve filtrare affinché non cedano di schianto le fragili fondamenta che ancora (per poco) sostengono il peso della disfatta.  Ma a cedere di schianto, a lungo andare, è il film.
E infatti sembra proprio che Guadagnino esaurirca qui tutte le sue possibilità, adagiandosi sull’aspetto decadente di una storia che stenta a decollare. Non c’è nessuna possibilità di volgere lo sguardo verso l’esterno, non una finestra per affacciarsi sulla realtà. Non c’è neppure uno sfondo sociale su cui riflettere. Ciò che ci viene posto davanti agli occhi è un affresco del tutto mancante di profondità. E se il senso claustrofobico generato nello spettatore si potrebbe anche ritenere funzionale alla narrazione, l’uniformità ritmica che ne scaturisce – e che a tratti rasenta la monotonia – non trova giustificazione alcuna e ci lascia nell’inappagata attesa di un punto di svolta che rompa, o quanto meno interrompa, questa estenuante ed irritante immobilità narrativa.
La storia raccontata in Io sono l’amore si deve quindi considerare solo ed esclusivamente come la vicenda individuale di una (troppo) lenta “fuga per la libertà”. Questo, e soltanto questo, è il fine ultimo dell’impianto narrativo messo su da Guadagnino, il quale, come se non bastasse, sceglie di chiudere il suo film con l’esplosione musicale, decisamente sopra le righe, di una fanfara.
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    Un commento

    • screen international

      The surprise of Luca Guadagnino’s I Am Love (Io Sono L’Amore) will wear out in time and press coverage/word-of-mouth, but this considerable achievement will always impress. An intriguing delight and so beautifully performed – particularly by lead Tilda Swinton – I Am Love is a film of great formal elegance with much simmering underneath its patrician surface. Its particularly European milieu may restrict this to select arthouse in the US, but there’s no reason to doubt that I Am Love will enjoy wide exposure.<br /><br />Set in Milan’s upper classes, in the Art Deco villa of a family of great wealth (the Agnellis come to mind), this is a film about repression and breaking free. From its 50s-style opening titles set over a snow-covered Milan and to John Adams scores, I Am Love can’t help but recall the Douglas Sirk themes of an earlier film age, not to mention Visconti, so it’s a surprise to realise that it is all set more or less in the present day. Guadagnino, who developed this with his The P …