TORINO 30 – "Tower Block", di Ronnie Thompson e James Nunn (Rapporto confidenziale)


Un thriller di assedio che guarda al grande cinema degli anni Settanta – quando il nemico era invisibile, ma in mezzo a noi – per aggiornarlo alla contemporaneità. Teso, serrato e inevitabilmente coinvolgente, Tower Block riesce nell'impresa di far parlare gli spazi, le pareti e i corridoi: un film di genere puro, in grado di fondere tensione e paranoia, ironia e divertimento

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Periferia inglese, oggi. Un enorme condominio fatiscente (il Tower Block del titolo) destinato alla demolizione; gli abitanti dell’ultimo piano, intenzionati a non abbandonare le proprie case; un cecchino invisibile che comincia ad ucciderli uno ad uno. Ecco gli elementi principali del film di Ronnie Thompson e James Nunn, un thriller di assedio che guarda spudoratamente agli anni Settanta per aggiornarli alla contemporaneità.

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Cinema figlio di una grande tradizione passata – quando il nemico era invisibile, e in mezzo a noi – che utilizza il genere per catturare lo spettatore e allo stesso tempo affrontare, in controluce, disagi e tensioni sotterranee tutt’altro che trascurabili; Tower Block comincia subito in salita, con una memorabile sequenza di inseguimento ai danni di un povero ragazzo che cerca aiuto e rifugio nel condominio: non ne troverà, e finirà pestato a sangue. Nell’enorme complesso che sarà poi il solo e unico set del film, nessuno ha visto nulla. Nessuno ha sentito, nessuno parla. Quegli stessi inquilini dovranno però subire lo stesso trattamento quando, chiusi in corridoio per non rimanere a portata di tiro del cecchino, cercheranno in tutti i modi una possibile via di fuga.

 

Un film di genere che non si vergogna di essere tale, capace con pochi tratti di caratterizzare tutti i suoi personaggi e di sfruttare al meglio la claustrofobia sprigionata dai suoi ambienti: teso, serratissimo e innegabilmente coinvolgente, Tower Block fa dimenticare ben presto la scarsa originalità del plot per concentrarsi sull’assedio dei suoi personaggi, con un rigore e un’essenzialità carpenteriana che si fa subito, immediatamente, cinema. Un clima di paranoia costante, che azzera il divario tra i buoni e i cattivi fondendoli e amalgamandoli gli uni con gli altri: un thriller della contemporaneità dove si vive a pochissimi metri di distanza, ma dove non si vuole vedere oltre i confini delle proprie pareti domestiche. Poco importa che l’identità del killer sia scontata, così come non è rilevante che anche le sue motivazioni siano facilmente prevedibili: il film di Ronnie Thompson e James Nunn è un thriller nella forma e un horror nello spirito, che filma il grattacielo come se fosse l’ultimo baluardo rimasto sopra un’umanità devastata e colpevole, senza mai appesantire il racconto di allegorie eccessivamente pletoriche. Tra momenti di grande impatto e una messa in scena inappuntabile, un’opera solamente di genere ma di rara intelligenza, capace di sfruttare al meglio i suoi spazi lasciando che a parlare siano le pareti e i corridoi, e non solamente le parole. Con una giusta ironia di fondo che è il perfetto corollario al tutto.

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