PROFILI – Buonanotte, Chuck Jones

Il piacere dell’intelligenza affiancato all’esplosione comico-fantastica: ci ha lasciati l’ultimo grande nome della “Golden Age of Animation” hollywoodiana, ideatore di Bugs Bunny, Daffy Duck, Porky Pig e – soprattutto – Wile E. Coyote e Road Runner.

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Qualche giorno fa, all’improvviso, è arrivata la notizia della morte – a quasi novant’anni – di Chuck Jones. Con lui se ne va l’ultimo grande nome della “Golden Age of Animation” hollywoodiana (compresa, più o meno, tra seconda metà degli anni Trenta e seconda dei Cinquanta).

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La carriera di Jones – nato il 21 settembre 1912, nello stato di Washington – è legata, indissolubilmente, a quel gruppo di creativi “anarchici” e geniali messi assieme alla Warner dal produttore Leon Schlesinger, a partire dal 1935: da Tex Avery a Bob Clampett, da Fritz Freleng a Frank Tashlin, da Robert McKimson a un geniale doppiatore come Mel Blanc e a un musicista virtuosistico come Carl Stalling. A una tale fioritura di talenti si devono serie animate rivoluzionarie come le “Looney Tunes e le Merry Melodies”, nonché personaggi straordinari come il coniglio Bugs Bunny, lo sfortunatissimo papero nero Daffy Duck, l’imbarazzato porcellino Porky Pig, Egghead, Elmer Fudd, il gatto Silvester e l’uccellino Tweedy, lo “sfigato” e poetico Wile E. Coyote e il velocissimo Road Runner, il topolino messicano Speedy Gonzales, la puzzola Pepe le Pew.
Dopo la scuola d’arte e le prime esperienze come assistente di Ub Iwerks e Walter Lanz, Chuck Jones è assunto alla Warner da Schlesinger che, inizialmente, lo fa lavorare al fianco di Avery e Clampett, su personaggi come Bugs Bunny, Daffy Duck e Porky Pig. Nel dopoguerra, però, crea la sua serie più famosa: quella di Wile E. Coyote e del Road Runner. Jones resta alla Warner fino alla decadenza dello studio d’animazione e, in seguito, passa alla Mgm, dove dirige diversi cartoni animati dei celebri Tom e Jerry.

Alla Warner, il produttore Schlesinger dà il via a una vera e propria “Politique des Auteurs” dell’animazione, riuscendo a coniugare notevoli risultati commerciali – per molto tempo, i cartoni animati Warner dominano il mercato e hanno la meglio anche sulla Disney – e straordinarie qualità artistiche e capacità d’innovazione: lo Studio, infatti, riesce a portare avanti un proprio discorso unitario che, allo stesso tempo, sia fortemente connotato dalla personalità d’ogni singolo animatore. Con le “Looney Tunes” e le “Merry Melodies” si sviluppa, infatti, una concezione completamente nuova di storie e personaggi, con temi davvero fuori del comune per il mondo dei cartoni animati e con caratteri adulti e fortemente umanizzati, in perenne lotta per la propria sopravvivenza. Muta in profondità, poi, anche il rapporto tra personaggi e spettatori, con i primi che iniziano a interagire col pubblico e mostrano, senza ipocrisie, la loro natura fittizia (quasi metafisica, si potrebbe dire). Dal punto di vista linguistico, inoltre, tecniche come quella dell’accelerazione improvvisa e del travestimento rendono ancora più assurdo e folle l’universo di fantasia “Made in Warner”. Satira e parodia feroci, infine, diventano elementi basilari della nuova filosofia dello Studio diretto da Schlesinger.

I contributi di Chuck Jones arrivano a piena maturità dalla fine degli anni Quaranta. Rispetto ai suoi colleghi di lavoro, Jones è il più “intellettuale”, amante delle buone letture e della storia dell’arte: così, nei suoi cartoni animati, il piacere dell’intelligenza è sempre affiancato all’esplosione comico-fantastica. Esemplificativo del “cinema d’animazione secondo Chuck Jones” è il suo capolavoro: la serie cinematografica imperniata sulle avventure di Wile E. Coyote e del Road Runner. Si tratta di una tipica caccia, con un inseguitore e un inseguito, un carnefice e una vittima: però, i ruoli sono rovesciati e il goffo Coyote non riuscirà mai a catturare la sua preda, il beffardo Beep Beep, nonostante tentativi assurdi e geniali nella loro inettitudine. Il Coyote di Jones è, senz’altro, tra i personaggi più drammaticamente umani dell’intera storia del cinema d’animazione (e non soltanto): “è” l’uomo della strada, privo di qualunque talento; colui che vorrebbe ma non può; un essere “senza qualità” messo costantemente di fronte al proprio fallimento, per quanto possa impegnarsi a escogitare stratagemmi che, sul piano puramente teorico, hanno indubbiamente qualcosa di ingegnoso. Il Coyote, sotto forma di comica esilarante, incarna in modo straordinario l’ineluttabilità del Destino.
Tra i capolavori diretti da Chuck Jones, vanno ricordati almeno “Duck Amuck” (1953), con Daffy Duck; “What’s Opera, Doc?” (1957), con Bugs Bunny; “High Note” (1960), ambientato all’interno d’un pentagramma messo a soqquadro da una nota ubriaca. In italiano, il libro più completo sulla sua arte è edito dal Castoro: si tratta del notevole “Il cinema di Chuck Jones”, a cura di Michele Fadda e Fabrizio Liberti (224 pagine, 24,79 euro), impreziosito da molte illustrazioni, da un divertente “bestiario” e da interviste e retroscena.

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