Under the Light, di Zhang Yimou

È la conferma della lucidità con cui il cineasta continua ad indagare il reticolo sociale della Cina, anche in un contesto apparentemente a-politico come quello del thriller urbano. Dal Far East 2024

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Per Zhang Yimou, la realtà rimane sempre il punto di partenza: lo snodo fisico da cui rifrangere tutti i discorsi (estetici, narrativi, tematici) del film che si propone di indagarla, anche quando il racconto in questione sembra portare la sua speculazione cinematografica verso territori lontani dalle immagini umaniste con cui ha raccontato, agli inizi di carriera, le crisi del popolo cinese, specialmente di quello più bucolico e agrario. E in piena continuità con le sue ultime incursioni nei linguaggi di genere, codificati in opere solo superficialmente svuotate di derive sociologiche come Cliff Walkers o Shadow, anche questo nuovo Under the Light vota ogni sua istanza o riflessione all’analisi del dato reale: riconducibile qui ad una volontà, quasi pulsante, di creare, attraverso le estetiche digitali, un ritratto stratificato e lucido di quel fenomeno che l’establishment politico ha certificato di recente come uno dei problemi endemici su cui lo Stato cinese deve necessariamente intervenire: ovvero la connessione tra il reticolo cittadino e la diffusione (ora non più) incontrastata della criminalità organizzata.

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Per indagare il sistema di collusioni su cui le organizzazioni criminali del paese hanno ramificato il loro potere, Zhang – non a caso – parte per la prima volta nella sua (lunga e diversificata) carriera dai codici del thriller urbano: gli unici che gli consentono di esplorare i legami tra politica locale e l’infrazione deliberata della Legge messa in atto dalle grandi corporazioni, fino ad iscrivere ogni suo discorso nelle maglie spaziali della metropoli. In Under The Light la vera protagonista è di fatto la città di Jinjiang: è qui che prendono piede le investigazioni del detective Su Jianming (Lei Jiayin) ed è sempre nei suoi meandri urbani che il cineasta oblitera le barriere divisorie tra finzione (cioè la storia del film) e realtà (ovvero i tentativi del Partito di porre fine alla piaga criminosa in seno alle grandi metropoli nazionali).

Ma l’analisi del tessuto socio-urbano non si ferma a questo solo livello simbolico. Perché più il protagonista cerca di soverchiare il sistema di collusioni su cui sembra essere fondata Jinjiang, muovendosi costantemente negli spazi sociali della città, più la sua indagine si innerverà di connotazioni eminentemente personali, quasi genetiche, portandolo così a rivalutare le sue stesse radici (di cittadino, e di essere umano) in faccia a problemi che da collettivi si fanno progressivamente soggettivi. Se, nell’incipit di Under the Light, osserviamo il suo padre adottivo, nonché Vice Sindaco della metropoli, incarnare la figura della Legge, con il prosieguo del racconto (e delle investigazioni) diverrà evidente come l’uomo, insieme a tutti coloro che gli stanno attorno – inclusa la persona più facoltosa della città, cioè l’industriale malavitoso Li Zhitian (Yu Hewei) – indossano in realtà delle maschere: che il percorso di Su Jianming dovrà tragicamente lacerare. Fino a rivelare il “vero” volto di un reticolo urbano che culla nel suo stesso grembo i semi della perdizione etica e morale di una parte di nazione.

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Gli elementi che restituiscono una vocazione sociologica a questo Under the Light, sono allora da individuare in due questioni, tanto di natura diegetica che extra-narrativa. Il fattore su cui Zhang impernia tutti i discorsi, connotandoli di un’alta valenza drammaturgica, lo ritroviamo nell’estensione fisica delle azioni collusive, nella naturalezza cioè con cui la macchina criminale (e politica) della città agisce, contaminandoli, negli spazi che la compongono: sia in quelli a cui sono solitamente confinati gli atti criminosi (le camere dei grandi alberghi o i capannoni abbandonati) sia nei suoi centri cittadini ed istituzionali. E anche quando i suoi intrecci rischiano di ingarbugliarsi in una matassa narrativa a volte (fin troppo) convoluta e confusa, le connessioni che instaura con la realtà attuale della Cina, e dei problemi che attraversano i suoi reticoli urbani, non perdono mai di trazione. Al punto da sconfinare in una fotografia evidente, e senza precedenti, delle ultime strategie politiche del Partito in tema di sicurezza nazionale.

Proprio nei titoli di coda di Under the Light, notiamo quell’elemento extra-diegetico a cui si è fatto cenno prima, e che appare necessario per comprendere le riflessioni e il valore del film. Al termine del racconto, Zhang ha inserito (forse come criterio per poter ottenere il visto-censura) un paio di didascalie in cui si fa riferimento all’entrata in vigore, nel maggio del 2022, della prima grande legge cinese contro il crimine organizzato. Una direttiva voluta fortemente da Xi, il cui lungo iter legislativo si è sovrapposto al percorso produttivo del film stesso. Il cineasta ha di fatto terminato le riprese del lungometraggio ben 4 anni fa, e proprio la sovrapposizione tematica con le questioni discusse nel decreto, ha dilazionato le tempistiche di uscita della pellicola, connotandola al tempo stesso di un alone di tempestività impressionante. Dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, l’impressionante grado di lucidità con cui Zhang continua ad rileggere la Storia del suo paese, anche in un contesto apparentemente a-politico come quello del thriller urbano.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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