Francesco Rosi, una cosa è la realtà, un'altra è la verità.

francesco rosi

E' stato un punto di riferimento del cinema italiano politicamente attivo. Scrutatore attento, ostinato e appassionato delle cose della polis. Oggi con la sua morte sembra essersi estinta quella genia di autori che sopravvive in rari esempi nel nostro cinema. Il suo impegno civile si accompagnava ad una febbrile e incessante ricerca della verità.

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Francesco Rosi, 1922-2015Francesco Rosi è stato un uomo sanguigno, il suo cinema si è sempre nutrito di una realtà che si faceva divorante, come la sua passione civile.

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Il riconoscimento è arrivato nel 2012 con il Leone d'oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia. Cresciuto dentro la Napoli di un'elitè culturale (La Capria, Napolitano, Patroni Griffi…) il suo esordio cinematografico avvenne con l'assistenza a Visconti e Alessandrini. Questi lo incaricò di girare alcune sequenze di Camicie rosse. Nel 1958 l'esordio con La sfida film che lo rivelò da subito al pubblico e che ha rivelato la natura del suo autore, un osservatore dei fatti e soprattutto delle trame oscure che si muovono dietro una realtà che va indagata. L'anno dopo, I magliari con Alberto Sordi, avrebbe spiazzato il pubblico che si aspettava ancora un film sul sud e sulle sue storie drammatiche. I magliari, invece, è un originale miscela di umorismo e drammaticità che ruota attorno al personaggio/attore di Sordi che convince nel suo ruolo in equilibrio tra gli antitetici registri. I suoi film cominciavano a costruire un percorso e nelle sue storie si respirava la stessa aria della gente.

Il suo cinema si faceva specchio fedele di un comune sentire. Prova ne sarebbe stata l'opera successiva, Salvatore Giuliano (1962) il film che inaugura il filone dei film inchiesta di cui Rosi fu in qualche modo inventore e sicuramente principale realizzatore. Salvatore Giuliano riapre a pochi anni di distanza dai fatti, la vicenda del bandito di Montelepre, i suoi rapporti con i separatisti siciliani e l'intricata vicenda della sua morte tra messa in scena e ritrattazioni dei testimoni. Un mistero d'Italia che il regista napoletano ha trasformato in appassionante racconto. Considerato uno dei suoi capolavori – il film vinse quell'anno l'Orso d'argento al Festival di Berlino – è stato, molti anni dopo, al centro di una polemica quando il film di Paolo Benvenuti, Segreti di Stato offrì una nuova versione dei fatti che riguardarono la morte di Giuliano sulla scorta di ulteriori indagini e di uno sguardo che apre nuove prospettive sulle vicende che coinvolsero il bandito e le innocenti vittime di Portella della Ginestra.

Le trame oscure e spesso imprecise di una storia sotterranea e sconosciuta, infittita da segreti di stato e da silenzi Salvatore Giuliano, 1962imbarazzanti avrebbero offerto a Rosi altro materiale per i suoi film. Sono gli anni in cui i suoi racconti sono assistiti da un rigore formale ineccepibile e da racconti espliciti, coraggiosi. D'altra parte i suoi insegnamenti nascevano da Luchino Visconti, suo amato maestro. Nonostante le distanze che separavano il suo lavoro da quello del regista milanese, da quest'ultimo imparò la severità e il rigore, cardini essenziali e valori universali per ogni opera. Rosi svolgeva accurate indagini sui fatti, come ha dichiarato in una lunga intervista di alcuni anni addietro concessa a Piero Spila e Bruno Torri. Questo lavoro preliminare ha dato i suoi frutti. Il suo è stato un cinema di solida fattura, forse ruvido, mai compiacente e sempre inattaccabile. Quando questo impeto si è affievolito il suo cinema è sembrato appesantirsi e perdere, nonostante l'impegno civile di sempre, il suo slancio empatico, la sua genuina consistenza. I suoi film non vivevano delle stesse atmosfere viscontiane, ma dentro la tragica densità di una realtà oscura.

Le mani sulla città, 1963Le mani sulla città (1963) fu il film che risvegliò le coscienze di un Paese ubriacato da un benessere inatteso. Fu certamente il primo film che, in modo spietato e dichiarato, denunciò la corruzione, mettendo gli occhi sul fenomeno della speculazione edilizia fino ad allora incoraggiata manifestazione di benessere e progresso. La narrazione efficace e affidata alla sintesi dell'immagine, guarda alle vicende di Edoardo Nottola le cui sembianze minacciose sono affidate a Rod Steiger, perfettamente credibile nei panni dello spregiudicato palazzinaro/politico che agguanta la Napoli sottomessa per farla propria con la complicità di un potere corrotto.

La straordinaria continuità di vicende che sembrano inseguirsi e rinararrasi nel corso degli anni, dei decenni, fino ad arrivare, ulteriormente incattivite, ai giorni nostri, sottolinea amaramente l'immobilità di una condizione sociale e, nel contempo (e purtroppo amaramente) riafferma drammaticamente la centralità e attualità dell'opera di Rosi e oggi, con la sua scomparsa, il cinema resta orfano di un padre autorevole e appassionato.

Tutte della stessa natura le prove successive intervallate da due film che sembrano volere spezzare una intensa continuità Uomini contro, 1970produttiva. I due film anomali che tradiscono l'animo melodrammatico che covava nell'animo del regista napoletano che troverà ulteriori addentellati nella fase finale della sua carriera, sono Il momento della verità ambientato nella Spagna dei toreri e C'era una volta ispirato a Lu cuntu de li cunti di Giovan Battista Basile con Sofia Loren e Omar Sharif appena reduce dal successo di Zivago. Un cinema in cui Rosi si riconosce – …non c'è un film che abbia fatto che non senta mio. – che privilegia una meridionalità che gli appartiene e che ha sempre dimostrato nell'approccio diretto alle cose e alla sanguigna passione che ha riversato nel suo cinema.

Nel 1970 Uomini contro, dal libro di Emilio Lussu Un anno sull'altipiano, riapre il tema del potere e se la narrazione dei fatti riguarda gli eventi bellici della Grande guerra è anche vero che il film diventa parabola universale ed eterna di un arbitrio intollerabile e dell'assurdità della guerra come strumento di possibile ricomposizione politica. Il discorso di Rosi è simile a quello di molti altri autori che hanno guardato al conflitto come esempio di follia umana, su tutti Kubrick il cui Orizzonti di gloria resta per molte ragioni assimilabile alla dialettica del film di Rosi. Film messo all'indice e per il quale il regista venne accusato di reati contro l'esercito, sebbene assolto in fase istruttoria. Non disgiunto, anzi strettamente correlato al cinema di Rosi è la figura di Gian Maria Volontè lo ritroviamo protagonista di molti suoi film e la sua presenza ha caratterizzato una stagione precisa del cinema italiano.

Il caso Mattei, 1972Nel 1972, avrebbe dato il volto ad Enrico Mattei dirigente dell'Agip e dell'Eni, manager che con la giusta dose di spregiudicata capacità imprenditoriale aveva messo in difficoltà i colossi degli idrocarburi. La sua morte in un oscuro incidente aereo avrebbe ispirato il film di Rosi. Il caso Mattei con il solito e ormai collaudato taglio indagatore, con efficacia e stringato rigore, ricostruisce i fatti, ricompone un mosaico di informazioni, mettendo in gioco ogni espediente narrativo senza sposare alcuna tesi. La lucidità con la quale l'operazione è portata a termine ne fa uno dei migliori film di quella stagione del cinema italiano. Il film avrebbe avuto un coda drammatica. Nelle fasi precedenti alla sua realizzazione Rosi si avvalse della collaborazione del giornalista siciliano Mauro De Mauro per ricostruire proprio gli ultimi giorni della vita di Mattei. Qualche mese dopo il giornalista fu rapito e nulla si seppe più di lui.

Volontè tornerà ancora nel cinema di Francesco Rosi e sarà Lucky Luciano nell'omonimo film del 1973. La biografia del Cadaveri eccellenti, 1976gangster italo americano è narrata attraverso un registro documentaristico che getta una luce, come sempre, sinistra sul rapporto tra potere politico e crimine organizzato. Seguirà ancora un film di irremovibile denuncia di questo sciagurato rapporto. Cadaveri eccellenti (1976) segna allo stesso momento l'apice e la chiusura di un periodo. Un film che arriva alle soglie degli anni '80 e rilegge le fitte e irresolute trame politiche di un'epoca in uno scenario che vede la Sicilia (mai esplicitamente citata) quale teatro della vicenda, ma che guarda all'Italia come vero contesto dei fatti. Cadaveri eccellenti costituisce, nella sua articolata costruzione, l'esempio di un cinema che non esiste più, figlio di una precisa idea che appartiene ad una socialità partecipativa, ad un desiderio di intervento diretto e preciso. Rosi è stato fino a quel film un punto di riferimento di quel cinema , politicamente attivo (non ideologico), scrutatore attento e ostinato delle cose della polis. Oggi non abbiamo un Francesco Rosi, quella genia sembra essersi estinta e i cromosomi dispersi in un cinema Cristo si è fermato a Eboli, 1979che guarda i fatti (magari gli stessi), ma da una prospettiva personale, individuale, se non individualistica, tranne poche eccezioni (Giordana, Vicari…). La lezione di Rosi è stata diversa. Il suo cinema è stato sempre generato da un lungo e incessante desiderio di verità, alimentato da un contesto sociale vivace, fecondo di idee e politicamente sensibile. Esaurita, dopo gli anni peggiori del terrorismo, l'essenziale spinta sociale, Rosi sembra mutare prospettiva. Le sue storie si rifugiano dentro un alveo storico più rassicurante. I temi rimangono, ma mutano gli effetti, mutano gli esiti, cambia la distanza dello sguardo. Le storie si allontanano nel tempo e il cinema di Rosi a volte si fa immaginario.

Cristo si è fermato a Eboli (1979), tratto dal famoso romanzo di Carlo Levi, appartiene a questa fase. Pur nella bellezza formale di una fotografia brillante e l'ausilio di un Volontè misurato e composto, il film tradisce un ripiegamento di sentimenti. L'occhio di Rosi è rivolto al passato.

Tre fratelli (1981) sembra smentire queste riflessioni, ma anche in questo il suo racconto è amaro ed offre l'occasione per un'analisi spietata sull'Italia di quegli anni. Dentro i personaggi si leggono tutte le delusioni e le speranze perdute di quelle generazioni.

Il film-opera lirica Carmen (1989) da Bizet, allontana il regista da qualsiasi ulteriore pulsione politica. Il suo film, con un castFrancesco Rosi guidato da Placido Domingo e la direzione musicale di Lorin Maazel, cattura lo sguardo e nella solarità dell'ambientazione il melodramma si fa fiammeggiante.

Ancora una volta Rosi e Volontè si sarebbero trovati a collaborare. Sarebbe accaduto nel 1987 con Cronaca di una morte annunciata, tratto dal romanzo di Garcia Marquez. Nonostante gli intenti il film non va oltre un risultato illustrativo del racconto. Nel 1989 il regista avrebbe collaborato al film non fiction 12 registi per 12 città per raccontare la sua Napoli. Dimenticare Palermo (1990) e La Tregua (1997) chiudono, con incerti esiti, una brillante carriera. Diario napoletano del 1992 ripercorre Napoli a trent'anni da Le mani sulla città osservandone il degrado e coltivando qualche speranza.

La morte di Francesco Rosi ci fa oggi ricordare ancora una volta un uomo che è stato contro; coscienza civile di un cinema che si è schierato contro le verità ufficiali, contro i pregiudizi e contro ogni convenzione e con il quale, con coraggio e sapienza, ha sempre cercato di offrire la verità dei fatti, perché come diceva, una cosa è la realtà, un'altra è la verità.

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