"Per girare una buona scena, bisogna perdere il controllo": Incontro con Edgar Reitz

Edgar Reitz

In occasione dell'uscita nelle sale italiane, solo il 31 marzo e il 1 aprile, di L'altra Heimat – Cronaca di un sogno, sorta di prologo della celebre saga di Heimat, il maestro del cinema tedesco Edgar Reitz arriva in diverse città italiane per promuovere il film. Ieri sera si è svolto l'incontro con il pubblico romano presso il Cinema Farnese Persol.

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Edgar ReitzIn occasione dell'uscita nelle sale italiane, solo il 31 marzo e il 1 aprile, di L'altra Heimat – Cronaca di un sogno, sorta di prologo della celebre saga di Heimat, il maestro del cinema tedesco Edgar Reitz arriva in diverse città italiane per promuovere il film. Ieri sera si è svolto l'incontro con il pubblico romano presso il Cinema Farnese Persol. Reitz, piuttosto che introdurre il film, ha preferito dialogare con gli spettatori a fine proiezione, dopo le circa tre ore e quaranta passate insieme agli abitanti di Schabbach e alla famiglia Simon. 

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Il regista ha subito anticipato le due domande più ovvie relative al suo ultimo lavoro, chiarendo fin da subito alcune sue evidenti scelte stilistiche. Innanzitutto, l'uso del bianco e nero, interrotto in numerose scene da dettagli di colore che catturano l'occhio dello spettatore. Secondo Reitz, l'immagine a colori ci perseguita, è un'inflazione dei nostri giorni, e per questo ha sentito il bisogno di tornare alle origini del cinema attraverso il bianco e nero, per non rinunciare a una tale tradizione. Ma allo stesso tempo, come agli inizi del secolo si sperimentava il colore dipingendo direttamente sulla pellicola alcuni dettagli importanti, allo stesso modo, grazie al digitale, anche lui ha potuto accentuare degli elementi tramite scelte cromatiche ben precise. L'altro elemento evidente è il tempo in cui si situa la vicenda, ovvero a circa metà del 1800, quindi di molto antecedente ai fatti narrati nella originale trilogia di Heimat. Reitz considera la sua opera più famosa come una trilogia chiusa in sé, effettivamente finita. L'altra Heimat è un film del tutto indipendente rispetto ad essa, ma che si concentra su un tema che lo segue da oltre trent'anni. Ci sono comunque molti elementi autobiografici. Reitz racconta di una lettera ricevuta da un'infermiera di Porto Alegre, in Brasile (meta sognata dai protagonisti del film), il cui capo reparto porta lo stesso cognome del regista, oltre che una certa somiglianza fisica. Da questa strana coincidenza Reitz ha intrapreso delle ricerche, che l'hanno poi portato a sviluppare la storia del film. In seguito, lo stesso medico ominimo gli ha inviato un libro scritto da un certo Raulino Reitz, missionario cattolico che ha documentato i modi di vita degli abitanti indigeni di Porto Alegre. Il personaggio principale, Jakob Simon, oltre ad avere elementi autobiografici, è in particolar modo legato alla figura del fratello di Reitz, Guido, venuto a mancare nel 2008. Come Jakob, egli viveva in un piccolo paese tedesco, possedeva una quantità sterminata di libri, oltre 300.000, e non usciva mai di casa. Anche se il personaggio non ricalca esattamente il fratello, sostiene Reitz, lo spirito è lo stesso, ed è per questo che il film è ad egli dedicato. 

 

L'altra Heimat - Cronaca di un sognoInterrogato sulla sua prima esperienza con il digitale, Reitz sottolinea l'incredibile versatilità del formato, che permette di realizzare qualsiasi cosa. Per questo motivo, la difficoltà più grande sta nel porsi dei limiti, capire cosa usare di questa tecnologia e come, perseguire insomma una disciplina del digitale. Il critico Giona A. Nazzaro nota come il film possa essere visto come un'enciclopedia del cinema del XX secolo, che parte dagli albori del cinema muto (con particolare riferimento a Pudovkin), per passare dalla lezione dei grandi maestri ungheresi (come Jancsó e Tarr) fino al nuovo cinema tedesco. Reitz accoglie volentieri l'osservazione: vista la giovane età dell'arte cinematografica, egli si considera quasi un pionere. Per lo stesso motivo, qualsiasi persona può conoscere senza problemi l'intera storia del cinema, e perciò esserne influenzato in toto. Reitz si sofferma per un attimo sul sottotitolo originale del film, Chronik einer Sensucht, dove l'ultimo termine è stato tradotto in italiano come Sogno. In realtà, egli spiega, in tedesco il termine Sensucht comprende molti diversi significati, da nostalgia a sogno a desiderio, e la pluralità di significati del termine, la sua indeterminatezza, riflette proprio le diverse sfumature del film, che affronta una storia vasta e complessa  che si dirama in molteplici direzioni.

 

Infine, su uno spunto offerto da enrico ghezzi, Reitz si concentra sul suo metodo di lavoro. In quanto autore, si interroga, ho controllo sul film, o è il film ad avere controllo su di me? Il suo approccio alla storia è di immersione totale, spiega, ed è quindi difficile dare una risposta. Ma nell'arco della sua carriera ha potuto notare che le scene migliori sono quelle in cui, nonostante tutte le maestranze facciano il loro lavoro alla perfezione, qualcosa sfugge al suo controllo, dagli attori alla luce stessa. Ci sono dei momenti, spiega, in cui "i personaggi o la luce acquistano vita propria, e fanno da sé, io non posso più controllarli, posso solo essere aperto all'imprevisto e al cambiamento". In proposito, Reitz conclude con un piccolo aneddoto che illustra alla perfezione la sua concezione del set: racconta infatti che sua nonna aveva l'abitudine di lasciare sempre aperta la porta di casa. Alla domanda: "Non hai paura a lasciare la porta aperta?" lei rispondeva "Se la chiudo, verranno i ladri". Insomma, conclude Reitz, bisogna essere disposti a lasciare la porta aperta.  

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