Non è mai troppo tardi…: auguri Mariuccia, critica marziana!

Dal 22 dicembre "il manifesto" è codiretto da Mariuccia Ciotta, una delle più belle firme della critica cinematografica degli ultimi decenni. Con colpevole ritardo, ma con molto affetto, i più calorosi auguri di "Sentieri selvaggi" alla nuova direttrice, che omaggiamo pubblicando un bell'editoriale di qualche giorno fa sui 50 anni della TV italiana.

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50 anni e si vede
di Mariuccia Ciotta

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Cos'è la televisione? Se la sinistra lo sapesse non saremmo qui in quest'Italia surreale dove domina una falsa copia del mondo, luogo di realtà fittizia che si espande nei palazzi della politica, nelle case, sui giornali e deforma, esclude, censura. La televisione è uscita da sé e si è fatta dimensione pervasiva del reale fino a saldarsi con la politica, fino a coincidere con il governo del paese. Non sono i tg Rai o Mediaset a spostare voti – la par condicio è solo un piccolo patetico tentativo di resuscitare la «lottizzazione», forma degenerata del pluralismo – ma la rappresentazione della vita che in tutti i suoi «generi» – dal programma di cucina al talk-show, dal varietà al telefilm alle neo-presentatrici sul sofà – viene elaborata e restituita al telespettatore. La modernità. L'unico mondo possibile disegnato dall'ex imprenditore che al contrario dell'opposizione di oggi e di ieri ha saputo progettare e spacciare nelle forme del desiderio, del piacere, della fiducia.
Mentre la sinistra negli anni Ottanta guardava esclusivamente alla Rai per guadagnarsi una fetta di servizio pubblico, e predicava una tv «educativa» disdegnando le neonate emittenti libere (private), Berlusconi andava alla conquista dell'etere, fiancheggiato da altri interpreti dell'Italia da bere, e da lobby più o meno oscure. L'hanno lasciato fare. A lui la tv commerciale, a noi la tv di stato. A lui l'intrattenimento popolare, a noi la tv pedagogica. Dimenticando che la tv è un flusso inarrestabile, presenza continua di canale in canale, e che è tutta bene pubblico, cielo demaniale. Andava regolamentata. Così come la pubblicità, considerata allora un demonio piuttosto che una risorsa da distribuire equamente tra diversi soggetti.
L'incapacità di quella sinistra di capire la tv è precipitata in una subalternità culturale e politica complessiva. Berlusconi non ha vinto e non vince perché veicola attraverso le sue tv (tutte) messaggi promozionali ma perché ne ha fatto lo specchio in cui l'Italia si riconosce e si autoalimenta sedotta dal menù del cavaliere.

Fuori dal piccolo schermo della tv italiana che oggi compie cinquant'anni ci sono scenari in trasformazione, culture diverse, globalizzazioni di cervelli attivi e in movimento. Ci sono le immagini negate di altri mondi, la loro ricchezza, bellezza, diversità.
Quando mai la Rai prima di Berlusconi ha mandato in onda un film di Elia Suleiman, regista palestinese star internazionale, quando mai ha trasmesso non solo un film di Straub-Huillet in prima serata o un documentario di Kiarostami, cineasta iraniano divo, ma neppure Ford, Walsh, Lubitsch, Welles…? Solo nelle nicchie, fuori orario.
Quando mai dopo Berlusconi, la Rai saprà sperimentare e osare, aprirsi all'esterno invece di inseguire quell'imbroglio istituzionalizzato dell'audience?
Adesso, ma è una vecchia storia, la parola d'ordine sulla tv pubblica che va per la maggiore negli ambienti anti-berlusconiani è «privatizzare la Rai». Estrema prova di sudditanza alla logica del mercato spacciato per pluralismo. Non solo, come tutti sanno, la torta pubblicitaria è nelle mani salde del presidente del consiglio ma, come tutti dovrebbero sapere, lo spot obbliga allo standard, non permette la ricerca, lo «scandalo» dei nuovi linguaggi, insomma vieta proprio quella «modernità» di cui tutti si fanno interpreti.
La Rai è destinata al declino se non prenderà a modello l'unica tv europea orgogliosa di essere soggetto pensante, la Bbc, chiedetelo a mister Blair. Finanziamento pubblico, totale indipendenza. Ma stiamo parlando di Marte, il pianeta rosso.


 


Da il manifesto del 3 gennaio 2004

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