#Venezia75 – The Favourite. Incontro con Yorgos Lanthimos e il cast

Pur non essendo alla corte di una regina inglese del XVIII secolo, la conferenza rivela subito la supremazia femminile. E anche che questa volta, non c’è una favorita. In Concorso

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Non è del tutto chiaro chi sia La favorita. Alla conferenza stampa di The Favourite – film in Concorso del regista greco Yorgos Lanthimos – il cuore dei presenti che affollano la sala sembra abbastanza diviso tra Emma Stone, sempre fresca, spiritosa e portatrice sana del suo goofy stile, l’attrice inglese Olivia Colman – centro di gravità del film grazie al ruolo della regina Anna – oppure Rachel Weisz, che anche nella sua assenza riesce a farsi presente attraverso le parole degli altri, proprio come nel film. Questa volta, però, non bisogna per forza scegliere una favorita: non siamo nella corte inglese del XVIII secolo, non ci sono strategie di guerra, regine viziate, consiglieri avvelenati né cortigiane spietate. Soltanto Lanthimos che ripete in continuazione ciò che sembra essere il suo cavallo di battaglia: una storia che gira intorno a tre protagoniste donne. Tre personaggi femminili che interagiscono tra loro con equivalente importanza, dove non è chiaro chi e buono o cattivo, vittima o carnefice, lontani dai soliti ruoli e i luoghi comuni. “Nove anni fa, quando abbiamo iniziato a lavorare al film, non esisteva il movimento #metoo, ma certamente adesso facciamo questa riflessione, è importante. Molto spesso, a causa del solito sguardo maschile, le donne nei film sono fidanzate, oggetti di desiderio, casalinghe, ecc. Queste tre protagoniste sono delle persone forti, con le loro storie e particolarità, come qualsiasi altro essere umano“, dice Yorgos, facendo capire a tutti che per lui non c’è una favorita.

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Accanto al regista, gli attori Nicholas Hoult e Joe Alwyn sorridono timidamente e parlano poco, forse spinti ancora dai rispettivi ruoli di uomini sottomessi in maniera sarcastica e violenta dalle donne del film. Comunque sia, è Yorgos il primo ad alzare la voce: “Lavorare a questo film è stato molto interessante per me, perché lavora con personaggi reali, molto complicati. Mi ha attratto pure il fatto che fosse un film in costume, questo ti permette di vedere le cose più da lontano. Da nove anni che lavoriamo sul questo film, quindi sapevo bene su cosa focalizzarmi”.

E appunto, il focus torna subito sull’argomento delle donne, i personaggi femminili che dominano in un mondo di uomini,  gli abusi e il sesso legato al potere. Per Olivia Colman, una delle ragioni per cui ha voluto partecipare del film: “È un personaggio bellissimo, complesso, ha tanto potere ma non ha molta fiducia in se stessa, non sa se è amata per chi è o per essere regina. C’è molta carica e anche critica sessuale e va bene, ci deve essere sempre…poi, devo dire che è`stato molto bello fare sesso con Emma Stone”. Emma accoglie il complimento subito: “Anche per me, è stato bellissimo Olivia”. Un’altra domanda lascia perplessa la nostra già arrossita Emma: Pensi che la vita nella corte di una regina sia paragonabile alla realtà di Hollywood? “Allora, è una domanda difficile.. c’è sempre un senso di rivalità, ma questo succede in tutti settori della società…non avevo mai pensato a questa analogia, dovrei avere una risposta bella ma mi dispiace, non ce l’ho!” Poi, aggiunge: “Ma comunque, devo dire, girare questo film non è stata una cosa molto tradizionale, abbiamo fatto un sacco di cose molto pazze insieme, abbiamo imparato a non essere in imbarazzo davanti dagli altri e per questo, alla fine, mi sono sentita molto a mio agio”.

A proposito di paragoni e ritratti di mondi lontani, il regista condivide una riflessione, tornando sempre al fulcro della sua proposta: il protagonismo delle donne. “È interessante perché tutto ciò che capiamo sulla guerra lo scopriamo attraverso gli occhi di queste tre donne, non c’è altra informazione che quella sottoposta al loro punto di vista. Riguardo al modo in cui riprendere la realtà dentro una corte del XVIII secolo, mi è sembrata la forma giusta di farlo. Volevo dimostrare la contraddizione visiva tra queste figure piuttosto solitarie, che hanno effetto sulla vita di milioni di persone. L’estetica, il ritmo, è molto attuale, frenetico, grottesco, mi è piaciuto riprendere la storia così”. “E i conigli, perché? Cosa significano?” chiede qualcuno. Yorgos sorride e ci fa capire che non tutte le scelte hanno un significato particolare o un senso assoluto: “Non so bene perché conigli, neanche se ho capito la domanda… uomini e animali, non abbiamo una relazione molto rara con gli animali – aggiunge, forse pensando anche alla sua aragosta di The Lobster – siamo amici, li amiamo, ci amano, ma ci uccidono e non li uccidiamo per mangiarli… è un rapporto veramente strano”. 

Arriviamo alla fine e le donne smettono di essere protagoniste. L’attenzione si rivolge tutta su Yorgos, il suo percorso cinematografico, il viaggio senza ritorno tra Grecia e l’estero, oppure su un eventuale ritorno alle origini. La domanda, a quante pare, non è del tutto originale: “Questo me l’hanno chiesto tantissime volte, a diversi festival e sempre cambia la risposta. Allora, è bello girare in Grecia, tornerei molto volentieri a fare un film, ma devo dire che più lavoro fuori dalla Grecia, più mi sento greco. Là si lavora in modo diverso, c’è un’altra mentalità, una generosità, le persone ci davano da mangiare, ci prestavano le loro case, macchine, ecc. È molto distante dalla realizzazione di un film in costume in Inghilterra, ad esempio, lì c’è un ambiente più strutturato e organizzato, ma forse manca quella spontaneità e generosità”. 

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