Notte e nebbia, di Alain Resnais

“Un film sublime di cui è difficilissimo parlare”. Così lo aveva definito Truffaut. Ancora oggi, il film è tutto in quelle immagini che ci mostrano un orrore più grande di noi. Capolavoro. Su MUBI

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Nuit et brouillard è un film sublime di cui è difficilissimo parlare; qualsiasi aggettivo, qualunque giudizio estetico risulterebbero fuori luogo.
François Truffaut

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Alain Resnais pensava al cinema in questi termini: Il film è per me un tentativo, ancora molto incerto e primitivo, di avvicinarsi alla complessità del pensiero, al suo meccanismo (…) Abbiamo tutti delle immagini, delle cose che ci determinano e che non si collocano in una successione logica di atti perfettamente coordinati. Mi sembra interessante esplorare questo universo dal punto di vista della verità, piuttosto che da quello della morale (1961). E quanto al tema della memoria diceva: Credo che il tema della memoria sia presente ogni volta che un’opera è scritta o che un quadro è dipinto, perché essi rispondono a una volontà di arrestare il tempo e di lottare, contro la morte. Io preferisco la parola coscienza, immaginario, piuttosto che memoria, ma la coscienza è sicuramente costituita di memoria (1966).
Ci sembrano coordinate precise e criteri illuminanti per un rispettoso esame – tenendo sempre a mente il fuori luogo del pensiero di Truffaut – dei temi e della struttura di questo breve, ma denso film di Resnais, attraversato e profondamente segnato da un pensiero di perpetuazione della coscienza, per utilizzare i suoi termini, quella stessa coscienza che si materializza e si forma nella memoria. Coscienza e memoria della Shoah, coscienza e memoria della perdita di ogni umano spirito, ma soprattutto coscienza di volere consegnare la verità.

Notte e nebbia nasce come film su commissione da parte del ‘Comité d’Histoire de la Deuxième Guerre Mondiale’. L’intenzione era quella di raccontare di quello Sterminio che fu di ebrei, omosessuali, Rom e oppositori politici, attraverso il perverso funzionamento dei campi di concentramento. L’alternanza delle immagini, montate con sapiente cura, tra il colore e il bianco e nero, differenziano le epoche, lo stato d’animo, il presente dal passato. Resnais ritorna sui luoghi di quello sterminio – Auschwitz, Birkenau, Maidanek – e nel colore di un autunno di pace nelle carrellate che ci mostrano ancora i fili spinati tesi, le mura quasi intatte dei baracconi, i fatiscenti letti a castello delle camerate, i forni crematori nei quali si spegneva ogni senso dell’umano, innesca il dilemma del presente nel rapporto faticoso con quel passato. Di contro le immagini dell’epoca, nel loro bianco e nero doloroso, ci mostrano i corpi scheletrici dei deportati, i loro corpi offesi da un martirio inaccettabile. Ci mostrano, in verità, un orrore più grande di noi, smisurato e mai dimenticabile. Su queste immagini, il testo del poeta e romanziere Jean Cayrol, anch’egli deportato nel campo di Mauthausen, funziona da raccordo tra il presente e il passato in quella considerazione della memoria come dato sensibile, ma di labile consistenza, che necessita della parola, dello scritto della storia affinché non si estingua.

È una traccia umana che Resnais intende lasciare con il suo film, che – ha ragione Truffaut – per la potenza pervasiva delle sue immagini sembra davvero sottrarsi a qualsiasi giudizio, se non a quello di una tragica contemplazione di un orrore quasi sovrumano. Il film è tutto in quelle immagini che di per sé escludono ogni riflessione sulla loro estetica, tanto primordiali e manifeste, in quella successione che appartiene ad una razionalità istintiva, necessaria per raffreddare il calor bianco del raccapriccio.
Resnais parte dai dati storici e li applica alla logica deviata dei torturatori, esponendoli così, ancora una volta, ad un inappellabile giudizio storico che coinvolge le nostre coscienze, in una costruzione che parte dalla nascita del nazismo, per continuare con la raccolta dei deportati e per proseguire con la vita dentro i campi e il ruolo dei kapò, che da prigionieri comuni avevano il privilegio di un potere inaudito, per concludersi con la liberazione dei deportati. Ma soprattutto con quell’appello finale alla responsabilità anche personale di tutto questo orrore, in una sfilata altrettanto macabra e meschinamente umana, di sottrazione progressiva alla sfuggente responsabilità, ma che la storia, anche quella scritta sugli stessi corpi di chi è sopravvissuto a quella mortale deportazione, ha mostrato e continua a mostrare nella indelebile forza della coscienza che scrive il suo presente con il peso della memoria.

Titolo originale: Nuit et brouillard
Regia: Alain Resnais
Distribuzione: MUBI
Durata: 32′
Origine: Francia, 1955

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)

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