VENEZIA 63 – "Hiena", di Grzegorz Lewandoski (Settimana della Critica)

In questa Twin Peaks polacca le notti sono piene di bizzarri personaggi che vagano nell'ombra, postini, gelatai, ubriaconi, il 'matto del paese', un uomo che si trasforma in Iena che sarebbe il responsabile di un paio di strane morti, e il piccolo Maly che non riesce a dormire perchè aspetta il ritorno del padre dall'aldilà.

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Considerazione di base che probabilmente Lewandoski ha fatto: l'immaginario 'orrorifico' al cinema è ormai un immaginario americano – nel suo Hiena il 'nightmare' principale del bambino protagonista è uno strano figuro dal volto sfregiato che veste una maglia a strisce rossoblu e abita in una baracca che prende fuoco lungo 'strade perdute'; la storia del padre del 'mostro', che abitava la stessa bicocca, è raccontata in bianconero con particolari dettagli colorati sgargiantissimi a spiccare nello stile, giusto per citare l'esempio più recente, di Sin City.  Da qui, l'idea vincente di questo primo lungometraggio del regista, che vanta la supervisione artistica di Krzystof Zanussi: trasportare un'atmosfera, per dire, alla Twin Peaks, in un piccolo villaggio polacco, dove il piccolo Maly si trova a superare il lutto per la morte sul lavoro del padre attraverso la sua fede ingenua di bambino nel fantastico e nel soprannaturale, immersa però in questo paesaggio da Europa dell'Est post-industriale lasciata andare a scatafascio, fabbriche e capannoni in disuso con le mura che si sgretolano, residui grigioblu (bella fotografia raggelata di Arkadiusz Tomiak, forse in debito in alcuni tratti coi pastelli nuvolosi di Sleepy Hollow) dello 'splendore economico' socialista trasformati in luoghi misteriosi, sospesi in un clima ipnotico e malato – in questa Twin Peaks polacca le notti sono piene di bizzarri personaggi che vagano nell'ombra, postini, gelatai, ubriaconi, il 'matto del paese', e Maly che non riesce a dormire perchè aspetta il ritorno del padre dall'aldilà ("ti prego papà torna a casa, ma non di notte"), li incontra e li teme tutti, conscio del fatto che il "Bob" di questo film, un uomo che si trasforma in Iena che sarebbe il responsabile di un paio di strane morti che turbano la quiete del villaggio, potrebbe essere chiunque di loro ("sei una Iena", all'indirizzo del malvagio poliziotto baffuto le cui implicazioni negli omicidi non ci vengono chiarite). Hiena di Lewandoski è un film riuscito proprio grazie a questa 'sospensione del tempo' dove è sempre più difficile districarsi tra i sogni e le proiezioni della mente facilmente impressionabile del piccolo protagonista, e la realtà fatta di povertà, malattie, il dolore terribile della madre che non fa altro che stare a letto a piangere il marito morto e guardare la tv con sguardo assente. Lewandoski mostra di conoscere bene il clima in cui si cresce nei piccoli paesi (come in una versione polacca di It di Stephen King), pieno di residui arcaici di vecchie leggende popolari, di misteri e di storie di fantasmi che ci si racconta con gli amichetti andando a scuola a piedi la mattina, di vicende poco chiare che coinvolgono quei personaggi un po' folli e inquietanti che onnipresenti occupano gli angoli delle piazze, dicerie e invenzioni della gente a cui si crede fermamente sino a farle diventare certezze, segni di un mondo più grande 'aldilà' della nostra infanzia, come dice Dellamorte a Gnaghi quando si accorge che dall'altra parte del tunnel non c'è nessuna strada che porti fuori dal paese: "hai ragione, Gnaghi, dovevo immaginarmelo: non esiste il resto del mondo."

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