"Non faccio mica l'operatore turistico" – Incontro con Enrico Caria e Felice Farina

"Volevo mettere in scena la brava gente napoletana, quelle che sono le vittime. Non mi interessa la possibilità che qualche leghista si appigli al film per le sue stupide accuse sui popoli del Sud: forse il documentario lo dovrei chiamare Terroni." Enrico Caria e Felice Farina presentano a Roma il loro docufilm Vedi Napoli e poi muori

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

"Volevo mettere in scena la brava gente napoletana. Guardate che i napoletani sono le vittime. Forse il documentario lo dovrei chiamare Terroni. Non mi interessa la possibilità che qualche leghista si appigli al film per le sue stupide accuse sui popoli del Sud, né che qualche straniero guardandolo decida di non venire mai in vacanza a Napoli: non faccio mica l'operatore turistico." Enrico Caria, napoletano emigrato a Roma ai tempi della prima guerra di camorra per trovare fortuna come giornalista satirico, scrittore, sceneggiatore e regista, torna nel suo paese natale per capire se esiste realmente o no il rinascimento bassoliniano tanto favoleggiato dai media. Il risultato è Vedi Napoli e puoi muori, il docu-film realizzato da Caria insieme a Felice Farina che martedì 23 gennaio aprirà la seconda edizione della rassegna ItaliaDoc alla Casa del Cinema di Roma in doppia proiezione con L'Udienza è aperta di Vincenzo Marra.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

 


Sia il giornalista del team-Santoro Sandro Ruotolo, che Tano Grasso, Presidente Onorario della Federazione Antiracket Italiana, presenti alla conferenza, contestano la tua visione delle "due Napoli: una col mare e una senza – il golfo col Vesuvio e Castel dell'Ovo e le periferie senza panorama e senza speranza".


 


Certo è un'affermazione provocatoria. In realtà sono proprio i camorristi ad aver fatto il salto di qualità da "una" Napoli all' "altra". I grandi boss oggi vestono in giacca e cravatta, gestiscono imprese pulite, intraprendono commerci alla luce del sole e si circondano di professionisti rispettabili. I loro figli vanno all'università e le loro mogli giocano a carte nei circoli più esclusivi. Esiste ormai una vera e propria borghesia camorristica, la cui esistenza viene tollerata e acconsentita dalla borghesia 'onesta' della città. Queste sono "le due Napoli", e paradossalmente l'aver rinchiuso tanta malvivenza nei quartieri-bunker come Scampia e Secondigliano ha permesso ai borghesi di Napoli di "autoassolversi" di tale responsabilità. Eppure non esistono napoletani con il marchio di criminalità. Come far capire questo attraverso un film, se i boss e i figli dei boss guadagnano forza, credibilità e vanità ogni volta che Scampia finisce in prima pagina e sotto i riflettori, anche se unicamente per le loro nefandezze?


 


Ecco, quanto avete temuto questo effetto-boomerang nella realizzazione del vostro documentario? Quanto vi siete, in un certo senso, "autocensurati"? Perché quei 'beep' sulle frasi in cui Roberto Saviano "fa in nomi"?


 

Anche quelli sono 'beep' provocatori: Saviano, sia nel film che nel suo straordinario


Gomorra, non dice niente di nuovo, niente che già non si sapesse, niente che già non sia agli atti di qualche processo. Eppure il ragazzo adesso è costretto a girare sotto scorta. Perché dev'essere così? Altro caso: perché Il Mattino non ha continuato le inchieste intraprese da Giancarlo Siani, giornalista precario ucciso dalla camorra? Perché non tentare una pur minima reazione all'accaduto, invece di disertare quasi i funerali di Siani? Perché Siani ha dovuto morire? Perché la Iervolino si sente in dovere di querelare Anno Zero quando manda in onda il reportage su Napoli? Perché La Capria invita il collega Giorgio Bocca ad essere "meno severo"? Perché Gigi D'Alessio si mette a strappare in mille pezzi davanti alle telecamere il numero de L'Espresso che titola in rosso a caratteri cubitali 'Napoli addio – criminalità, disoccupazione, disagio giovanile'? Sembra di fare come quelli che, vista l'inchiesta proprio de L'Espresso sulla malasanità negli ospedali, hanno sbottato: "ma perché si sono messi a parlare male degli ospedali? adesso finisce che all'ospedale non ci va più nessuno…". Quantomeno paradossale, credo.


 


Ma quanta visibilità avrà effettivamente un lavoro come Vedi Napoli e poi muori?


 


Il film esce il 26 gennaio nelle 12 città-capozona della distribuzione nazionale. Non verrà proiettato in pellicola, ma comunque in digitale. Vedi Napoli e poi muori ha avuto un costo talmente contenuto che verrebbe del tutto vanificato se lo si dovesse riversare in 35mm. Dopodichè il film tenterà la strada dell'home-video, per cui è stato effettivamente pensato, e verrà commercializzato nelle edicole, nelle librerie, nelle videoteche. Forse in allegato a un libro, ad altro materiale, seguendo la via tracciata da Michael Moore. Proprio Moore è stata una nostra costante fonte d'ispirazione: la sua tecnica di assemblaggio di fonti e materiali provenienti dai repertori più disparati ci ha aperto gli occhi, e grazie allo straordinario lavoro di conforming di Giuseppe Schifani abbiamo potuto inserire nel film i formati più diversi, dal filmino girato in piazza la domenica della vittoria dello scudetto del Napoli da un Enrico Caria ancora bambino, all'intervista realizzata con la telecamerina della prima comunione, alle riprese fatte con l'ultimo modello di videocamera sony.


 

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array