Asian Film Festival 2007 – "Night train", di Yinan Diao

Un film che trasmette malessere e angoscia e che attraverso una messinscena gelida e distaccata (anche grazie all’uso del digitale) ci porta in profondità nella reale situazione della Cina contemporanea, un paese che sta pagando a caro prezzo (soprattutto umano) il vertiginoso sviluppo economico degli ultimi anni. Presentato a Cannes 2007.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Molti silenzi ad aumentare le distanze. Poca luce, colori grigiastri, i contorni di figure umane che si perdono nell’ambiente circostante, tra i resti di edifici industriali e fabbriche. Un’umanità che si aggira, sperduta, incapace di creare contatti, incapace di comunicare. Un vuoto freddo, interiore. E intorno un mondo che crolla, nei suoi valori e nella sua storia, che si accartoccia su se stesso, che diviene un insieme di indifferenti macerie. Un mondo pronto ad essere ricostruito, ma solo esteriormente, solo come presenza di nuove fabbriche e nuovi edifici, cemento e ferro. Si respira la stessa aria di Stll Life in questo film, la stessa penosa impotenza nei confronti delle immagini, la stessa dolorosa mancanza di empatia con personaggi e luoghi, lontani anni luce da qualsiasi immaginario di facile esportazione e comprensibilità.
E in questo modo anche il nostro sguardo è costretto a vagare, a essere sospeso, perché incapace di aggrapparsi a qualsiasi cosa, perché incapace di riconoscere quello che l’inquadratura racchiude, gela nella sua cornice. Il regista lavora infatti quasi esclusivamente su piani fissi, i movimenti di macchina sono rari e razionati così come i dialoghi, così come le emozioni. L’esistenza della protagonista diventa ancora più emblematica, simbolica, a tentare di mostrarci lo stato di malessere di un intero popolo, di un’intera nazione. Il lavoro all’interno della burocrazia, il ripetersi degli stessi gesti, ma in una dimensione ancora più lontana, quella delle carceri, dei tribunali, delle esecuzioni capitali. Luoghi dove si consumano i drammi di un sistema giudiziario disumano, dove i condannati diventano solo corpi da eliminare, materiale burocratico da smaltire.
E una volta fuori dalla propria divisa, dai propri obblighi, la protagonista va verso una stazione. Ad aspettare un treno per andare fuori città, in una sala da ballo, un altro ambiente vuoto, in penombra, dove uomini e donne si ritrovano non solo per cercare di riempire con la loro presenza quello spazio, ma soprattutto cercando di riempire le loro vite, attraverso un contatto umano, fisico. Ma anche il sesso, quando è possibile, diventa meccanico, gelido, feroce, come in quei pochi momenti in cui la protagonista si cede ad un altro corpo.
La solitudine in questo modo diventa uno stato perenne dell’essere e attraverso le immagini si trasforma in una messinscena dell’alienazione (anche grazie all’ulteriore raffreddamento emotivo causato dall’uso del digitale), dove ogni elemento contribuisce ad aumentare la sensazione di gelido distacco. Uno sguardo quello di Yinan Diao capace di trasmettere vero malessere, uno sguardo capace di scavare tra le rovine di una nazione come tra le miserie dell’anima.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array