"Bratz", di Sean McNamara
Cross over tra un film basato su personaggi nati come bambole trendy con la testa enorme, un prison movie (con il Jon Voight di Runaway Train…), e uno di quegli straordinari reality di Mtv, My sweet sixteen, la pellicola è pura propaganda, tra John Stockwell e Danny De Vito: ogni ragazza che si sente un pagliaccio al college come Hrundi Bakshi nel Party, se lo vuole può da un giorno all'altro diventare una fichissima bratz. Devastante: we want you.
Caro Aldo, l'inadeguatezza, anche stavolta, è lampante. Di chi scrive (queste o altre parole, il film), di chi gira – dell'occhio e, hai ragione, del cinema. Eppure, bisogna resistere – si deve. Il Cinema, quantomeno, resiste(rebbe). Allora, fieramente, con la stessa testardaggine che nuovamente e gioiosamente verrà fraintesa, perchè a conti fatti ci si chiede solo di odiare – e invece: Sean McNamara, il regista, sostanzialmente non esiste ma non gira peggio di un qualunque John Stockwell, per dire (certo il film in alcuni momenti potrebbe essere accostabile allo stockwelliano Blue Crush, magnifico nella sua luccicanza luiquidepidermica). Alcune trovate dell'incipit sarebbero quasi degne di una nuova micidiale sortita acid pop di Danny De Vito, se McNamara non fosse così distratto (alcuni movimenti repentini e qualche zoomata paiono proprio gli scatti improvvisi dell'operatore allo sbando che istantaneamente s'accorge di cosa sta accadendo) da farsele passare sotto il naso senza reagire in modo alcuno – ovviamente il regista (il cinema…) è incolpevole: qui è tutto in mano ad Avi Arad, produttore infallibile (colui che ha avuto l'illuminazione di proporre Spiderman a Sam Raimi – c'è da fidarsi), che si è inventato questo cross over tra un film basato su personaggi nati come bambole trendy con la testa enorme, un prison movie, e uno di quegli straordinari reality di Mtv, My sweet sixteen. Il prison movie: le bratz (un po' come le figlie dei Power Rangers: una nera ballerina che parla in slang, una ispanica canterina che ha i mariachi in casa e canta la cucaracha ballando insieme alla madre quando è felice, una orientale intelligente con le meshes azzurre, una biondona americana abbastanza rimbambita ma grande sportiva…) si iscrivono al college, dove vige una severissima legge naturale per cui se non appartieni ad una "cricca" (i dark, i nerds, le cheerleaders, “quelli che si vestono da dinosauro”…), non sei nessuno. A gestire l'ordine, la perfidissima figlia del direttore dell'Istituto, un Jon Voight (che recita a smorfie idiote un po' come in Transformers, che invece era basato sui robottoni) messo lì come chiaro segno contrario e rimando al bellissimo carcerario A 30 secondi dalla fine, di Konchalovsky/Kurosawa/Eddie Bunker, e che entra in scena leggendo il manuale "How to run a Prison". Le quattro sovvertiranno la routine collegiale sino a vincere con la loro esibizione il conclusivo talent show che di solito era inattaccabile appannaggio della piccola tiranna. Il reality: Mtv manda in onda a pacchi da tonnellata un'incredibile serie di programmi basati sui 'sentimenti' e la 'vita reale' delle ragazzine ricche e viziate d'America che spesso rasentano il sublime, in cui la perversione del guardarli non è seconda a quella dell'averli ideati e realizzati. Uno di questi è My sw
Titolo originale: id.
Regia: Sean McNamara
Interpreti: Logan Browning, Janel Parrish, Nathalia Ramos, Skyler Shaye, Chelsea Staub, Jon Voight, Lainie Kazan
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 110'
Origine: USA, 2007