CANNES 64 – “Yellow Sea / The murderer” di Na Hong-Jin (Un certain regard)

yellow sea
Dopo The Chaser (fuori concorso a Cannes 2008 e grande successo di cassetta), Na Hong-Jin torna con uno sforzo produttivo assai maggiore, un action di estremo impatto spettacolare che si ferma alle soglie di una diligenza talentuosa ma poco interessante

 

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yellow sea, cannes 64Proprio qui a Cannes, nel 2008, Na Hong-Jin aveva raggiunto la ribalta internazionale con il suo The Chaser, presentato fuori concorso. Enorme successo di cassetta, quel film fornisce di fatto le coordinate di base (a cominciare dai due attori principali) per questo nuovo action parossistico, investimento produttivo assai più impegnativo.
Na fa le cose in grande, estende a 300 i giorni di produzione, aumenta il budget e la forza spettacolare. Ma lo schema è analogo, nel suo procedere ridisegnando continuamente le opposizioni tra le parti in causa, e facendoci simpatizzare per un outsider che diventerà sempre più violento e privo di scrupoli.
Si tratta di Gu-Nam, tassista che accetta di tornare temporaneamente in patria (lui appartiene alla nutrita minoranza coreana della prefettura autonoma di Yanbian in terra cinese) per un omicidio su commissione: con quei soldi, mira a far tornare da lui la moglie, ri-emigrata sei mesi prima in Corea. A complicare follemente la situazione ci penserà la malavita locale, che entra in attrito con quella, assai più scalcagnata e brutale, di Yanbian che aveva commissionato il delitto a Gu-Nam.
Man mano che la guerra tra bande (senza dimenticare la polizia) muta i propri fronti (talvolta capovolgendoli), Gu-Nam diventa una specie di eroe indistruttibile capace di sfuggire a tutto e a tutti. Ma non sfuggirà, fatalmente (e come vuole il genere), all'orfananza dal Femminile che già fu all'origine dello scontro tra le diverse fazioni.
La regia di Na non difetta di efficacia. Non è, ovviamente, un problema l'uso assai disinvolto dell'inverosimiglianza (Gu-Nam, al primo inseguimento della sua vita, che sgomina centinaia di poliziotti all'assalto), né lo è, tutto sommato, il fatto che le torsioni della trama si risolvano in un forsennato assolutizzare lo scontro, a un passo dal “tutti contro tutti”. E neppure che Na protenda la durata delle scene di bagarre oltre quanto sarebbe drammaturgicamente consigliabile (di nuovo, per fare dello scontro una forma totalizzante). Il problema è, semmai, che nessuno di questi elementi prenda il sopravvento, rilanci in qualche modo l'efficacia spettacolare (innegabile) delle scene d'azione in vista di qualcosa di più del compitino diligente che Yellow Sea non può non sembrare. Ad esempio, Na difetta del coraggio di fare di Gu-Nam un vero “cattivo” cui identificarsi controvoglia: non tanto perché immancabilmente messo alle strette dalle circostanze, quanto perché, incidentalmente l'omicidio che avrebbe dovuto compiere lo commette un altro al posto suo.
E dire che del talento, qua e là, traspare con una certa chiarezza, soprattutto (come già in The Chaser) quando la magniloquenza degli inseguimenti o delle scene violente di massa lascia il posto a brevi “assoli” isolati, come nella articolata e ammirevolmente analitica sequenza in cui Gu-Nam tenta di forzare l'appartamento di quella che avrebbe dovuto essere la sua vittima. Ma Na Hong-Jin è ancora giovane, e avrà tutto il tempo di passare dalla rispettabilità della diligenza professionale alla nobiltà dell'artigianato.

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