Anche io, di Maria Schrader

Ricostruisce la prima inchiesta giornalistica contro Harvey Weinstein da parte del “New York Times”. Di grana grossa ma anche un gran bel film politico. Con Carey Mulligan e Zoe Kazan.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Per Maria Schrader ogni discorso sul rapporto tra uomo e donna (e sulla sua rappresentazione, beninteso) pare tirare sempre più in ballo la tecnologia. Lo suggeriva già il suo esordio, I’m Your Man, giocoso e stralunato film sulla relazione tra una donna ed un androide che dovrebbe essere il suo uomo ideale. Ora che, tuttavia, Maria Schrader ha fatto il grande salto dal cinema europeo a quello americano, il discorso non può che complicarsi.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Anche io ricostruisce la prima inchiesta giornalistica contro Harvey Weinstein, quella portata avanti dalle reporter Megan Twohey e Jodi Kantor per il New York Times e che ha dato il via al movimento #Metoo. Lo fa, prevedibilmente, guardando al grande cinema civile degli anni ’70 (ai Pakula, ai Pollack ma anche al McCarthy di Il caso Spotlight) ma radicalizza a tal punto la sua forma che è evidente quanto il racconto delle indagini sia solo parte di un discorso più complesso.

Perché  Anche io è tutto ripiegato sul dispositivo, ancora sulla tecnica, ed è per questo soprattutto un film sulla pulsione scopica dello spettatore, sul desiderio di perdersi tra le immagini, sulla sua convinzione che tutto debba essere rappresentato. Schrader si prende gioco di quest’esigenza. Prende Carey Mulligan (non a caso protagonista di uno dei più patinati e amati film post #metoo), la affianca a Zoe Kazan e costruisce su di loro un racconto sobrio, asciutto, volutamente statico, in cui tutto si riduce a pura vocalità, alle testimonianze telefoniche che le vittime rilasciano alle due giornaliste, alle conversazioni che Twohey e Kantor hanno con avvocati e rappresentanti dello stesso Weinstein (o con lo stesso produttore, che entra in scena, sempre di spalle, nell’ultimo atto).

Il lavoro sull’immagine è ridotto al minimo. Anche le testimonianze delle vittime raramente sono accompagnate da una ricostruzione dei fatti (piuttosto, le loro parole sfociano in piani vuoti su quegli stessi corridoi e stanze d’albergo evocati nelle conversazioni).

Ma, ovvio, se il fotogramma fa un passo indietro a finire in primo piano è, appunto, la voce delle vittime, la stessa che gli opprimenti non disclosure agreement avrebbero voluto eliminare.

È un film indubbiamente a grana grossa, Anche io, che dichiara le sue intenzioni fin dalla prima inquadratura, eppure ciò non toglie che sia comunque un grande film politico, soprattutto per il modo in cui intercetta e ragiona su certe forme del contemporaneo. Per il modo in cui, ovvio, mette la voce al centro di tutto (siamo, dopotutto, negli anni in cui è un mezzo d’espressione fondamentale negli spazi digitali), per come riflette attraverso di essa sulla sua stessa natura (cos’è, in fondo, Anche io, un film canonico o piuttosto un podcast lungo due ore e distribuito in sala? Maria Schrader sembra chiederselo continuamente); ma anche per il modo in cui sfiora l’idea del deep fake in certe vertiginose emersioni vocali, come quelle di Donald Trump e Rose McGowan.

Il punto, forse, è che nel suo lucido radicalismo, nella sua inesorabile ecologia dello sguardo, Maria Schrader non offre un’alternativa al modo in cui ci si rapporta a certe immagini. Preferisce, piuttosto, limitarsi a eliminare qualsiasi sentore apertamente “cinematografico” all’inchiesta di Twoey e Cantor, trattando il controcampo con la stessa sobrietà del campo. Ma così l’indagine non può che rimanere invischiata in un’eccessiva freddezza di fondo.

È quindi un film avido di primissimi piani, a cui manca il sangue, il sudore, il senso di minaccia della tradizione del cinema d’inchiestaì. Meglio, arriva tutto troppo tardi, in un ultimo atto che riesce a equilibrare con grande intelligenza sobrietà e frenesia quasi “action”, ma la domanda rimane comunque inevasa: cosa ce ne facciamo di queste immagini nel nuovo statuto della visione?

 

Titolo originale: She Said
Regia: Maria Schrader
Interpreti: Carey Mulligan, Zoe Kazan, Patricia Clarkson, Andre Braugher, Samantha Morton, Jennifer Ehle, Sean Cullen, Angela Yeoh, Ashley Judd

, Zach Grenier

Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 129′
Origine:  USA, 2022

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.6
Sending
Il voto dei lettori
2 (1 voto)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array