CANNES 65 – “Confession of a child of the century”, di Sylvie Verheyde (Un Certain Regard)
Cinema in trance, di claustrofobico travaglio sentimentale, che quando viene elevato a potenza lascia letteralmente senza fiato. Ancora piu` che in Stella, stavolta la Verheyde lavora di pancia e tira fuori un`opera anche di estenuante arrovellarsi viscerale, che gira intorno ad un`ossessione amorosa che si fa possessione morbosa. Non si danno tregua, i due amanti di de Musset, e cosi` il film di Verheyde vive di una continua apnea, di un piano a singhiozzo che non esplode mai nelle lacrime a dirotto ma resta al livello di insostenibile tensione nervosa e psicologica
Non ha certo scelto di adagiarsi sugli allori del successo internazionale del suo precedente, bellissimo Stella Sylvie Verheyde, che ora decide di girare un film in costume tratto dal romanzo omonimo di Alfred de Musset del 1836, recitato in lingua inglese, con una superstar come Charlotte Gainsbourg e il vero, definitivo esordio dell`indie rocker Pete Doherty in un ruolo da protagonista. E ne viene fuori, com`era facile intuire dalle premesse, un film singolare, spigoloso, un po` storto ma pieno di passione e desiderio.
Se la confezione chiusa e scintillante di Stella poteva paradossalmente essere considerata il limite principale del film, stavolta la Verheyde lavora molto piu` di pancia e tira fuori un`opera anche di estenuante arrovellarsi viscerale, che gira intorno ad un`ossessione amorosa che si fa possessione morbosa. Non si danno tregua, i due amanti di de Musset, e cosi` il film di Verheyde vive di una continua apnea, di un piano a singhiozzo che non esplode mai nelle lacrime a dirotto ma resta al livello di insostenibile tensione nervosa e psicologica. E la Gainsbourg se la porta tutta addosso, l`elettricita` malata del film, con una perfomance coraggiosa che e` innanzitutto corporea, fisica, tutta adunca e allungata sulla propria esile figura, circondata spesso da camere a spalla indagatorie e da pianosequenza “sporchi” che rompono la rigida griglia da ricostruzione d`epoca antispettacolare dell`ambientazione del film.
Negli ultimi, potentissimi venti minuti, con questo confronto serratissimo tra i due che si ripete ormai ostinatamente come un disco rotto mentre i corpi si confondono tra di loro, si attraggono e si allontanano, e una manciata di frasi svuotate di senso viene ripetuta da Doherty in tono allucinato, e` racchiuso allora il meglio di questo cinema in trance, di claustrofobico travaglio sentimentale, che quando viene elevato a potenza lascia letteralmente senza fiato.
Confession of a child of the century vive pero` malauguratamente anche di qualche caduta, di alcune sezioni sin troppo appesantite dall`abisso di autolesionismo dei due personaggi. E in alcuni momenti le soluzioni visive per rendere contemporanea una storia dalle valenze in effetti universali com`e` quella del film prendono un po` troppo la piega del “film di costume rivisitato con gusto pop” (feste di ballo da teenager, la stessa presenza di Doherty, dandy in disperata decadenza perfetto per il suo ruolo…) ultimamente sempre piu` inflazionata.
Nei momenti migliori il modello sembra invece L`eta` dell`Innocenza scorsesiano, soprattutto nell`indefinibilita` delle traiettorie delle vicende e degli oggetti (lettere nascoste che scompaiono, fanno capolino o bruciano, verita` giusto abbozzate, fantasmi del passato e personaggi ambigui tra le pieghe delle rigide convenzioni formali): e` li`, e non nelle sequenze di alleggerimento neoromantic, che il film di Sylvie Verheyde si dimostra maggiormente “presente”, figlio anche, se non soprattutto nella lettura della cineasta, di questo nostro secolo.