GERMANIA 2006 – Bande à part

Come il film di Jean Luc Godard la nazionale francese di oggi sembra essere una "banda a parte", basterebbe fermarsi ad osservare l'espressione smarrita di Zinedine Zidane. Eppure, proprio per questo, Francia – Svizzera mette in campo un rivolgimento sentimentale riluttante e, insieme, il timore di una perdita avvertibile come smarrimento e mancanza.

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Dopo aver visto Francia – Svizzera non riusciamo a non pensare a Bande à part di Jean Luc Godard, un film, a detta dello stesso regista, "molto triste, sentimentale e romantico", proprio così, perché Bande à part è un film che esprime l'emozione di un romantico voler fuggire/perdersi con e tra le immagini e, insieme, l'inesauribile disseminazione del desiderio di essere in un altro sguardo e in immagini/luoghi che trascinano oltre la profondità del fuoricampo. Quella di Odile, Arthur e Franz è una storia d'amore che si riproduce in inquadrature del desiderio e il filmare è un gesto che scorre in superficie, sul volto dolce, inquieto e malinconico dei tre amici/amanti. Immagini che ci dicono della singolarità di un cinema che si concede al disordine della vita e al suo continuo trascorrere, come nella bellissima sequenza/corsa della visita dei tre al Louvre, che ci restituisce "sfuggenti" al tempo, ad una eternità d(')istante dolceamara come il sognare. Come il film di Godard la nazionale francese di oggi, come quella di quattro anni fa, sembra essere una "banda a parte", basterebbe fermarsi ad osservare attentamente l'espressione smarrita di Zinedine Zidane, il cui volto assurge a metonimia di un'intera partita. Eppure, proprio per questo, Francia – Svizzera mette in campo un rivolgimento sentimentale riluttante e, insieme, il timore di una perdita avvertibile come smarrimento e mancanza, il sentimento che può provare solo un corpo esposto, posto fuori di sé e dalla sua dimora, in una parola un corpo esule. L'esilio è spostamento, trasferimento, espropriazione, e, nello stesso tempo, presentazione di uno spazio vuoto che non si può dire, ma di cui si può solo esibire la distanza percepita, l'esposizione di uno sguardo sospeso sull'oggetto desiderato; una distanza in cui lo sguardo e l'oggetto del desiderio possono solo toccarsi nel tremito, in quel fremito appassionato che si nutre di una infinita, eventuale prossimità, che permette di conservare la speranza negli sviluppi di una trama che, seppur slacciata, continua ad esigere incerti finali e aperture sul dopo.

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Il resto è storia (e che storia!): 17 luglio 1998 allo Stade de France "Saint Denis", davanti a settantacinquemila spettatori, la Francia allenata da Aimé Jacquet, quella di Barthéz, Desailly, Lizarazu, Thuram, Leboeuf, Deschamps, Djorkaeff, Zidane, Karembeu, Petit, Guivarc'h, tanto per intenderci, stralciò il Brasile di Rivaldo, Ronaldo e Bebeto con il risultato finale di 3 a 0, doppietta di Zinedine Zidane (27° e 45° minuto del primo tempo) e di Petit (al 90° minuto). Poi la festa, con la popolazione dei tifosi che si riversò nelle strade di Parigi, bloccando letteralmente gli Champs Elysees. Quella Francia spesso non qualificata ad una fase finale dei Mondiali, come nel 1970, '74, '90 e '94; quella Francia che grazie a giocatori come Michel Platini, Alain Giresse e Jean Tigana riuscì, negli anni '80, ad entrare tra le quattro migliori squadre del mondo: quarta nel mondiale spagnolo del 1982, quando l'eleganza francese dovette arrendersi in semifinale allo spirito di gruppo dei tedeschi, alla determinazione e combattività di una squadra guidata dal capitano Manfred Kaltz, capitolando solo sui calci di rigore; o terza al mondiale messicano del 1986, sconfitta, come quattro anni prima, ancora in semifinale dalla Germania dell'Ovest. Quella Francia che continuò il suo cammino trionfale vincendo i campionati europei in Olanda nel 2000, questa volta a discapito dell'Italia (2 a 1 con un golden gol di David Trezeguet nei tempi supplementari). Poi il declino. Nella fase finale dei campionati del mondo in Corea/Giappone (2002) "Les bleus" nel proprio girone raccolsero un solo punto senza segnare nemmeno un gol (persero la partita di apertura contro il Senegal per 1 a 0, quindi pareggiarono 0 a 0 contro l'Uruguay e furono sconfitti per 2 a 0 dalla Danimarca nell'ultima partita). Dall'altra parte la Svizzera guidata da Jakob "Kobi" Kuhn, squadra che non si qualificava alle fasi finali di un mondiale dal 1994 (la Svizzera ha raggiunto solo tre volte i quarti di finale, ma in tempi più che remoti: 1934, '38, '54); ma con questa squadra la Francia non ha ancora fugato l'ombra del mondiale asiatico.

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