“Malinteso Felice”- Intervista a Carlos Sorín

carlos sorin

Si è conclusa il 17 dicembre, la prima rassegna cinematografica “Malinteso Felice”, organizzata dalle ex allieve della scuola di cinema Sentieri selvaggi, presso l’associazione culturale Studio Campo Boario. Nell’ultima puntata il grande protagonista  è stato “il regista della Patagonia” che ha parlato di Historias mínimas, Premio Speciale della Giuria al Festival di San Sebastian nel 2002.

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Si è conclusa ieri, 17 dicembre, la prima rassegna cinematografica “Malinteso Felice”, organizzata dalle ex allieve della scuola di cinema Sentieri selvaggi, presso l’associazione culturale Studio Campo Boario. Nell’ultima puntata il grande protagonista Carlos Sorín, “il regista della Patagonia” ha condiviso con il pubblico le sue considerazioni “back to the past” a proposito del film Historias mínimas, vincitore del Premio Speciale della Giuria al Festival di San Sebastian nel 2002.

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«Mi colpisce molto che un film realizzato quasi più di undici anni fa può ancora risvegliare tanta attenzione. Per cominciare voglio essere onesto nel dire che l’opinione di un regista sui suoi film è parziale e tendenziosa. Ci sono molte cose valide che lo spettatore riesce a cogliere nei film e delle quali un regista non si rende mai pienamente conto» Carlos Sorín.

 

 

I personaggi che incontriamo emergono attraverso primissimi piani e dettagli. Possiamo ritenere che questa scelta stilistica rappresenti un modo per descrivere i loro paesaggi interiori?

I primi piani sono stati il frutto di una lotta contro la Patagonia, intensa e seduttrice. Se non mi fossi messo in guardia dal paesaggio, questo avrebbe divorato i personaggi. per questo motivo ho cercato di ridimensionarlo in maniera naturale, omeopatica, accentuando invece la presenza dei volti: il paesaggio che realmente mi interessa.

 

Il suo è un intenso e lento road movie, in cui lo scorrere dei personaggi lungo le strade sembra lo scorrere delle loro vite interiori. C’è un rapporto tra questo andare e la natura che si muove intorno? Sono protagonisti insieme?

E’ possibile che sia così. Per tutti i personaggi il viaggio è un viaggio trascendentale. Le loro vite non saranno più le stesse dopo averlo compiuto. Comunque non l’ho mai inteso in questi termini metaforici: mi è sempre piaciuto viaggiare per le strade, e se lo faccio senza una meta definitiva tanto meglio. Volevo dunque coniugare il piacere del viaggio con il piacere di fare un film. Historias mínimas e altri film che ho girato in passato sono stati dei viaggi. Viaggiavo con i personaggi, con la storia e con la troupe di tecnici ed attori. Durante varie settimane ho fatto una vita “da circo”, seguendo il racconto della storia. In realtà il road movie come struttura narrativa ha le sue attrattive ma anche i suoi pericoli: da un lato mette da parte la narrazione, e dall’altro corre il pericolo della ripetizione. In più le riprese sono faticose…

 

Si tratta di un viaggio attraverso le età dell’esistenza. Si arriva alla vecchiaia di Don Justo con dolcezza. Questo percorso può essere inteso come accettazione pacifica di una condizione della vita, più che rassegnazione?

Don Justo rappresenta qualcuno che sente il peso di un problema morale (secondo lui, solo il suo cane lo conosce) e non vuole lasciare questo mondo senza averlo risolto. Vuole lasciare ogni cosa “in ordine” prima di partire. E’ probabile che il problema non lo avverta consciamente così e non lo riesca ad esprimere con le parole ma è quello che sente, al livello inconscio. Il cane è l’unico testimone ma anche l’unico che può perdonarlo.

 

Don Justo crede di aver ritrovato Mala Cara sull’uscio di una porta sul deserto. Lo troviamo seduto infondo al pullman di ritorno verso casa, forse dormiente e forse in pace con se stesso. Che significato ha questa scena finale?

Nel soggetto originale Don Justo era seduto in fondo all’autobus, ma era morto. Quando terminai di girare quella scena ho pensato che sarebbe stato un finale troppo drammatico e ne volevo fare uno migliore. Dunque stavo per ripetere la scena il giorno successivo ma sarebbe stato inutile perché nessuno degli spettatori che aveva visto il film aveva capito che era morto. Don Justo è un personaggio troppo amabile per farlo morire. Tutti hanno pensato infatti che, stanco del suo viaggio, si era addormentato. Quindi alla fine ho lasciato la scena così com’era.

 

Il titolo della rassegna “Malinteso Felice” vuole racchiudere il significato delle relazioni tra esseri umani, nelle quali spesso l’incapacità di comunicare emozioni e passioni crea uno scarto, una distanza. Sulla base di questo, può raccontarci la sua idea di “Malinteso felice”?

 

Per quanto mi riguarda ho molto pudore nell’esprimere le mie emozioni. Invidio la gente che riesce a farlo naturalmente e senza problemi. Sicuramente il mio modo di manifestare sentimenti è attraverso i film.

 

 

Poltrone sui Binari

 

 

 Il trailer del film

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