New Life, di Josh Rosman

Tenta di incanalarsi nell’implosione batteriologica attraverso dati e numeri, ma l’insieme vive forse di un’eccessiva schematicità. Dal Monsters Taranto Horror Film Festival 2023

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Sarebbe una mossa altamente sleale inserire New Life del debuttante Josh Rosman nel grande calderone del contemporaneo batteriologico. Nonostante l’evidente e dichiarata matrice virale che da inizio millennio, prima con Boyle e successivamente con The Walking Dead e The Last Of Us, sta espandendo la sua rete chirale per raccontare il resoconto di un immaginario che dal baratro ricava il sentimento dei nostri giorni. E la storia di Jessica Murdock, una ragazza scappata da un bunker e rea di essere infetta da un virus sconosciuto, approva questo establishment del controllo, della vana intenzione del contenimento, strizzando l’occhio all’epidemia da Covid, con tutti i suoi meccanismi e le sue modalità di fruizione. Rosman in pochi attimi riesce effettivamente a districarsi nel  correlativo tra l’ingolfamento dei dati, dei numeri, delle infinite traiettorie del digitale e la ruralità di un esterno minimalista e sull’orlo della disintegrazione. E rimanendo sulla via della ramificata strutturalità di New Life forse è proprio il personaggio di Elsa Gray,  l’agente incaricata di ritrovare la ragazza che progressivamente ne diviene la sua nemesi, a rappresentare in toto questa substrazione in continua evoluzione di forme e gerarchie. Allora perché, nonostante la presenza incessante di questi elementi, il film di Rosman non è un’opera affine al quel tipo di canone?

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La questione oltre ad essere molto semplice e, paradossalmente, contraddittoria rivela perfettamente l’anima di New Life, ovvero di un film che naviga nel controllo ma reso quasi schiavo del suo stesso gioco. Il corpo della protagonista più che un veicolo di trasmissione viene resa una condanna di cristallo. Una condanna priva di mutazioni ma subdola, cieca e inarrestabile, tanto da domandarci se la vera evoluzione del Body Horror non secerni in questi piccoli sprazzi di puro orrore. Ma, complice una scrittura rigida, che non lascia il giusto respiro alla dicotomia della propagazione del virus, Rosman muove schematicamente le sue pedine, in un territorio bloccato dal fare il primo vero passo verso il prologo anche del più semplicistico dei World Building. Ed è proprio questo tocco di imprevedibilità, di responsabilizzazione delle proprie azioni, a mancare, creando una voragine nello stesso regista, ancorato ad una concezione quasi scolastica del filone di contagi e prossime distopie. Perché quasi non bastano i convincenti effetti analogici delle creature, o il finale dalle suggestioni Fulciane, a far sfuggire dagli ammorbanti sistemi operativi l’impulso di un film perennemente combattuto tra ragione e pulsione.

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