"Panic" di Henry Bromell
Bromell riesce efficacemente a condurre questa sorta di thriller psicologico da camera rimanendo attaccato ai volti, alle parole,ai gesti anche insignificanti dei suoi personaggi anonimi
Anche i killer vanno dallo psicanalista. Da quando ad Hollywood hanno scoperto che un efferato assassino a sangue freddo può possedere un mondo nascosto popolato da nevrosi, vulnerabilità e solitudine, gli sceneggiatori hanno generato da un materiale così elettrizzante personaggi vibranti, ricchi di contraddizioni e sfaccettature. E dopo la lettura in chiave caricaturale e grottesca del boss complessato e insicuro interpretato da Robert Deniro in “Terapia e pallottole” di Harold Ramis e quella ironico-malinconica con venature drammatiche del mafioso Tony Soprano nella discussa serietelevisiva “I Soprano”, dall’ombra l’esordiente Henry Bromell ha fatto emergere il volto di Alex, sicario per commissione alla prese con una crisi di mezza età sia professionale che personale,con i tratti somatici da uomo veramente comune di William H.Macy del quale il regista-sceneggiatore coglie, esattamente come i Coen di “Fargo” e il Paul Thomas Anderson di“Magnolia”, la capacità di incarnare le piccole miserie e le grandi tragedie dell’America anonima. Perché, svincolata dall’ingombrante e fortemente ritualizzato contesto mafioso, la lettura di Bromell avviene ad un livello strettamente intimista e privato, spogliando la figura di Alex di tutti quei rimandi semantici che il suo ruolo di killer richiamerebbe nello spettatore e suggerendo come finezza che in fondo la crisi personale coincida con quella professionale, con l’incapacità di riconoscere la propia identità di uomo nel guscio freddo e asettico di chi ha privato anche l’atto di uccidere di un valore morale e ideologico, degradandolo a pura trattativa mercantile. Lo spaesamento, il vortice, il panico in cui precipita Alex è proprio la conseguenza di uno svuotamento di quelle solide e indiscutibili certezze che la condizione di assassino gli garantiva e che verrano definitivamente sgretolate a livello celebrale dalle sedute con un umanissimo psicologo (John Ritter) e a livello emotivo dall’incontro sentimentale con Sarah, una ragazza bisessuale e maniaca-depressiva (Neve Campbell). Figure queste speculari e opposte a quelle del padre e della moglie: il primo,reso con potenza e autorità da Donald Sutherland, rappresenta il fardello opprimente della tradizione e dei legami contro le possibilità illimitate e spaventose (in quanto sconosciute) della scelta personale; la seconda (Tracey Ullman) riflette e amplifica il grigiore e il fallimento sentimentale-erotico rendendo ancora più appetibile e luminosa seppur con qualche sfumatura oscura l’irrealizzabile fuga con Sarah. Bromell riesce efficacemente a condurre questa sorta di thriller psicologico da camera rimanendo attaccato ai volti, alle parole,ai gesti anche insignificanti dei suoi personaggi anonimi, facendo emergere il malessere di Alex da un’espressione contratta della faccia. Una risata nervosa, una ruga aggrottata sulla fronte, negli sguardi pieni di desiderio e rimorso che rivolge su altri corpi e altri volti, anche loro afflitti da un malessere espresso da dialoghi-confessione di sconcertante sincerità,in quanto vanno a sondare la tenerezza e il disincanto, la precarietà e il peso di essere individui.Titolo originale: Panic
Regia: Henry Bromell
Sceneggiatura: Henry Bromell
Fotografia: Jegg Jur
Montaggio: Lynzee Klingman, Cindy Mollo
Musica:Bryan Tyler
Scenografia: David Bradford
Costumi: Susan Matheson
Interpreti: William H. Macy (Alex), John Ritter (Josh), Neve Campbell (Sarah), Donald Sutherland (Michael), Tracey Ullman (Martha), Barbara Bain (Deirdre), David Dorfman (Sammy), Tina Lifford (Dr. Leavitt), Bix Barnaba (Louie), Nicholle Tom (Tracy)
Produzione: Matt Cooper, Andrew Lazar, Lori Miller per Roxie Realising
Distribuzione: Filmauro
Durata: 90’
Origine: Usa, 2000