SPECIALE "LA REGOLA DEL SILENZIO" – Il primo anno dei tuoi

the company you keep
A guardare Redford che corre, viaggia di nascosto, salta, combatte e non per ultimo tira fuori un film come questo, ci sprona non dimenticarceli mai, quegli anni lì: e allora, come spiegarlo a casa, alle persone che amiamo, a quelle con cui viviamo, che ad un certo punto saremo costretti a lasciare tutto e partire nell'altra direzione

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Morta Adriana nel suo film più bello, il Rocky Balboa del 2006, a Stallone non è più concesso di avere una donna al fianco: nei due Expendables e in John Rambo i corpi femminili restano giusto sfiorati, desideri subito sedati e rimossi senza dar loro uno spazio più largo di quello di un abbraccio, di un saluto. Nella solitudine del reduce che riprende la sua via di spalle alla civiltà sui titoli di coda ogni legame si trasforma da sempre in lutto: ecco perché la Lisa Bobo di Bullet to the head è già un elemento inedito nella costellazione stalloniana recente – una figlia. Per un attimo Walter Hill sembra voler farci credere che stavolta a Sly sia stata data la possibilità di un amore, ma poi è la stessa ragazza a chiarire la situazione all'ingenuo detective Keegan: “sono sua figlia”.
Punto e a capo. Un pomeriggio di quelli in cui nuotavo sul serio non riuscivo a stare dietro ai tempi e ai ritmi previsti dall'allenamento tirato giù dal mio coach, che mi urlava contro ad ogni pausa a bordo vasca tra un 100 stile e l'altro. Una situazione molto stalloniana, va da sé. Avrò avuto 16 anni, e in vasca sfogavo com'è chiaro anche le mie teenage wastelands, tanto che piangevo di rabbia negli occhialini, rassicurato dal fatto che l'acqua della piscina avrebbe mascherato le lacrime. Fatto sta che in un momento in cui tiro su i fondi di bottiglia che usavo come occhialetti il mio allenatore mi scruta negli occhi e non so come (o forse lo so) sembra accorgersi della mia muta bestia dentro, mi guarda dritto e dice: “ed è solo il primo anno dei tuoi”. Io da allora ho sempre cercato di capire cosa volesse dire, il primo anno dei tuoi, se fosse legato alla mia “carriera agonistica” oppure uno di quei motti epigrammatici che siglano i momenti esistenziali da Maestro Jedi che spesso colgono i nostri allenatori o i nostri direttori: il mio coach era una vecchia gloria della leggendaria squadra di pallanuoto del Posillipo, da che io lo ricordi ha sempre avuto i capelli bianchi e gli occhi di ghiaccio.

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Allora vedo Di nuovo in gioco e Clint ha una figlia, Amy Adams, lei lo va a trovare all'ora di colazione e lui si è fatto recapitare a domicilio una pizza farcita di praticamente qualunque cosa; poi la ragazza lo segue in viaggio, ha intenzione di aiutarlo perché Eastwood è vecchio e acciaccato e potrebbe perdere il lavoro di osservatore dei talenti di baseball, ma piano piano capiamo che tra i due in realtà quella ad aver maggior bisogno di aiuto dall'altro è lei, intrappolata in una vita sentimentale negata dai sogni di carriera. E Clint, da padre che tante ne ha fatte e viste, e non tutte giuste, anzi più di qualcuna sbagliata, effettivamente potrebbe sibilare rivolto ad Amy e alla sua voglia di cambiare del tutto strada: figlia mia, è solo il primo anno dei tuoi.
Come se ognuno di noi venisse caricato di un numero ben preciso, definito, già previsto e calcolato, di anni di patimenti, fatiche, dolori, da scontare, da espiare (idea invero non proprio ineditissima), ma soprattutto come se fosse possibile stabilire in maniera netta e precisa, inconfutabile, la data o il momento d'inizio della sequela, della salita della montagna dei tempi difficili: il primo anno.

La regola del silenzio, il bellissimo nuovo film di Robert Redford, forse il suo più grande capolavoro insieme al precedente The conspirator, sembra dirci che anche quando siamo convinti di averli superati per intero, quegli anni possono tornare e ricominciare, che non c'è un primo anno né un ultimo: lo sanno bene sia il Gus eastwoodiano di Di nuovo in gioco che il Jimmy Bobo di Sly/Hill, sempre pronto (già pronto?) ad un nuovo incarico, una nuova lotta – ma questo deve per forza essere un male?
A guardare Redford che corre, viaggia di nascosto, salta, combatte e non per ultimo tira fuori un film come questo che ha illuminato gli ultimi giorni di Venezia 69, a uno verrebbe da dire che forse è il caso di non dimenticarceli mai, quegli anni lì: come fanno gli amici di Jim Grant, che mandano avanti la loro (seconda, terza) vita ben consci che quella telefonata dal numero sulla lista potrebbe sempre arrivare, mandare all'aria tutto, rimettere in discussione l'intera esistenza quotidiana.
E allora, come spiegarlo a casa, alle persone che amiamo, a quelle con cui viviamo, che ad un certo punto saremo costretti a lasciare tutto e partire nell'altra direzione, quella opposta al mare, come i pinguini di Herzog in Encounters at the end of the world che si ostinano a correre verso la montagna aggirando ogni ostacolo che possa fermare o rallentare la loro marcia sbagliata.

Cosa racconta Redford alla figlioletta nello struggente finale de La regola del silenzio, insomma?
Cosa raccontano questi padri, Gus, Jimmy, Jim, alle loro pargole?
Il finale è muto e abbacinante, Redford e la bambina che si allontanano lungo un viale alberato – ma mi piace pensare che l'uomo le stia giusto dicendo sono tornato, ho attraversato un altro anno dei miei ma sono tornato. Potrebbe, addirittura, avere il senso e l'importanza di un augurio: che tu possa presto passare il primo anno dei tuoi. Lo scrivo, consapevolmente, a fine 2012. Un altro anno dei nostri. May the road rise with you.

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    3 commenti

    • non sono al primo anno dei miei, ma tutto ciò è bellissimo.

    • potrebbe chi ha scritto la recensione farci capire perchè, dal suo punto di vista, il film è bellissimo? per favore senza fare riferimento ad herzog se non motivatamente.

    • @vedochiaro forse hai le lenti appannate. Intanto questa non é una recensione ma un racconto. Un racconto di un passato che si misura con gli sguardi e col cuore. È il film di Redford é bellissimo, e basta. Non c'é niente da capire…