TORINO 21 – "Sulla mia pelle", (Concorso Lungometraggi)

Nel seguire il faticoso passaggio dalla detenzione alla libertà, l'opera seconda di Jalongo riesce in definitiva ad entrare in un mondo insidioso e a coglierne la violenza naturale dei momenti in cui, come lui stesso li descrive, “si spengono le luci e si perde il controllo”.

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Entrambi i film italiani in concorso propongono la tematica del reinserimento nella società degli individui arenati ai margini. I cinghiali di Portici, in programma per gli ultimi giorni di festival, si focalizza sul recupero di minori mentre Sulla mia pelle, presentato ieri sera, segue il faticoso passaggio dalla detenzione alla libertà. Un tema, questo, a rischio di scontatezze e falsi moralismi. Jalongo si muove in tale percorso a ostacoli a volte schivandoli brillantemente, altre cadendo nelle trappole.
Tony (Ivan Franek) è un detenuto che inizia il regime di semilibertà lavorando in un caseificio del salernitano. Tenta a fatica di riconquistare i propri spazi di vita ma il mondo che avrebbe dovuto accoglierlo lo rifiuta, con la fidanzata che lo abbandona e il figlio che gli viene sottratto. Diventa così, suo malgrado, il caseificio il luogo deputato ai rapporti interpersonali che seppure siano trattenuti e stentati sono intensi a sufficienza per risucchiarlo in un irreversibile rimbalzo all'indietro. "La morale dei semiliberi – dice il regista – segue una geometria diversa dalla nostra. Eppure uomini come Tony sanno essere molto più moralmente rigorosi degli onesti." Si traduce così la difficoltà del personaggio di instaurare un dialogo con la società e di rendere condivisibili le sue scelte di libertà.
Dotato di un cast dalla fisicità vigorosa (Stefano Cassetti, Donatella Finocchiaro, Vincenzo Peluso) il film soffre di alcune sbavature nella sceneggiatura che indeboliscono la coerenza della storia e minano la necessità di certe soluzioni. È soprattutto nella costruzione dei rapporti relazionali e nella definizione di alcuni personaggi che l'opera sconta qualche difficoltà descrittiva come nell'amore privo di crescita tra Tony e Bianca o nell'intimità non ben definita tra il suo compagno di cella (Cassetti) e una dipendente della ditta casearia.
La vera forza di Sulla mia pelle risiede invece nell'intelligenza della messa in scena che mostra con vigore drammatico la giungla di sbarre che circonda il protagonista anche fuori dal carcere, (nelle veneziane del gabbiotto del caseificio, nelle recinzioni delle bufale, negli ingranaggi delle macchine) e che sfrutta i vari ambienti in soluzioni prospettiche sorprendenti.
È da considerare, poi, la sottigliezza del contrappunto ironico che viene a spezzare i momenti poetici o drammatici evitando le forzature, come nel caso del siparietto tra Tony ed un ex-compagno di carcere che si mettono a recitare Shakespeare nel bel mezzo di un ricatto criminale.
L'opera seconda di Jalongo riesce in definitiva ad entrare in un mondo insidioso e a coglierne la violenza naturale dei momenti in cui, come lui stesso li descrive, "si spengono le luci e si perde il controllo".

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