La programmazione di Fuori Orario dal 5 all’11 maggio

Prosegue il racconto dell’Italia del boom economico con L’amore in città e La donna che lavora. Inaugurata la rassegna Polvere nel vento, con Hou Hsiao-hsien

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Domenica 5 maggio 2024 dalle 2.30 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste
di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto
presenta

A CAVALLO DEI ’50 – nel boom dipinto di boom

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a cura di Paolo Luciani

L’AMORE IN CITTA’
(Italia 1953 bianco e nero durata 109’)
Regia: Carlo Lizzani, Michelangelo Antonioni, Dino Risi, Federico Fellini,
Francesco Maselli, Alberto Lattuada

episodio L’AMORE CHE SI PAGA; Regia: C. Lizzani

Con: attori non professionisti.

episodio TENTATO SUICIDIO; Regia: M. Antonioni

Con: Rita Josa, Rosanna Carta, Donatella Marrosu.

episodio PARADISO PER QUATTRO ORE; Regia: D. Risi

Con: attori non professionisti.

episodio AGENZIA MATRIMONIALE; Regia: F. Fellini

Con: Antonio Cifariello, Livia Venturelli, Maresa Gallo

episodio GLI ITALIANI SI VOLTANO; Regia: A. Lattuada

Con: Valeria Moriconi, Mara Berni, Giovanna Ralli

Attraverso sei brevi storie, in una modalità che diventerà sempre più praticata dal
nostro cinema negli anni a venire, vengono messi in luce diversi aspetti dell’amore,
così come viene vissuto dagli italiani e soprattutto dalle donne. C’è una location
particolare che fa da filo conduttore, quella rappresentata dalla dimensione urbana,
dove la città post bellica sembra racchiudere allo stesso tempo opportunità ed insidie.

In STORIA DI CATERINA una ragazza, rimasta senza lavoro e lasciata dal
fidanzato, abbandona il figlioletto salvo osservare, da lontano chi lo prenderà e
divenire un caso di cronaca; Antonioni indaga chi, donna, ha tentato di uccidersi per
una delusione d’amore; Lizzani intervista una serie di prostitute; Risi segue i
frequentatori di una balera di periferia, quasi tutti soldati e cameriere; Fellini
costruisce una storia su chi rivolge ad una agenzia per trovare un matrimonio;
Lattuada infine realizza una serie di carrellate sulle reazioni dei maschi italiani al
passare di belle signore e procaci ragazze.

“… il film aveva soprattutto un interesse sperimentale. Intendeva sancire, anche nella fase del vagheggiato passaggio dal neorealismo al realismo, la legittimità di un laboratorio neorealistico. Il film voleva fornire degli appunti di prima mano diretti ed impressionanti, curiosi o drammatici, sulla prostituzione, sui suicidi per amore, sulle mediazioni matrimoniali, sulle sale da ballo popolari. E ricordare – intanto – che la cronaca, la vita quotidiana erano pur sempre la fonte di ispirazione più suggestiva anche per chi volesse scalare le vette, del resto ancora lontane, del realismo puro”
(C. Lizzani, IL CINEMA ITALIANO 1961)

LA DONNA CHE LAVORA
(Italia 1959 bianco e nero)
Inchiesta di Ugo Zatterin e Giovanni Salvi; fotografia Giorgio Merli, Mario Dolci; montaggio Renato Poccioni; musica Gino Peguri; segretaria di edizione Luciana Ugolini; organizzazione Carlo Monti
Puntata 1: IL GUAIO DI NON ESSERE UOMINI durata 22’
Puntata 2 : LA FABBRICA durata 27’
Puntata 5: AL SERVIZIO DEL PUBBLICO durata 36’
Puntata 7: LIBERE PROFESSIONI durata 30’
durata complessiva 117’
In otto puntate, dal 25 marzo, si analizza la nuova realtà femminile nell’Italia del
boom economico e il contributo delle donne alla vita sociale ed economica del paese. Una troupe di 12 persone gira tutta l’Italia, per descrivere l’occupazione femminile attraverso testimonianze dirette di operaie, mondine, commesse, madri di famiglia, impiegate, maestre, ecc. Tutta l’inchiesta è realizzata dal vivo senza l’uso di materiale di repertorio. Nello stesso anno, uno dei più importanti della storia della Rai, andranno in onda programmi quali: Le divine, di e con Franca Valeri, Il teatrino di Walter Chiari, L’India vista da Rossellini, La posta di Padre Mariano, L’isola del tesoro, I figli di Medea, Buone vacanze, Giallo Club, Il Mattatore.

Venerdì 10 maggio dalle 01.30 alle 06.00

POLVERE NEL VENTO
MAESTRI D’ORIENTE

a cura di Lorenzo Esposito, Roberto Turigliatto

DUST IN THE WIND (POLVERE NEL VENTO) PRIMA VISIONE TV
(Liàn liàn fēng chén, Taiwan, 1986, col., 105’, v.o. sott. italiani)
Regia: Hou Hsiao-hsien
Con: Wang Chien-wen, Xin Shufen, Li Tian-Lu
Racconto sul passaggio dall’adolescenza alla maturità. Dopo aver terminato la scuola media, A-Yuan lascia un villaggio povero di montagna per cercare lavoro a Taipei. Con lui c’è A-Yun, l’amica d’infanzia con cui è cresciuto. Nella capitale i due conducono un’esistenza molto difficile, cercando di adattarsi a un modo di vita completamente diverso dal loro. Ma la grande città finisce per separarli e quando Wan deve partire per il servizio militare, della durata di tre anni, A-Yun sposa un altro. Alla fine A-Yuan tornerà al villaggio natale. Ha scoperto, al di là della delusione amorosa, il sentimento del passare del tempo, il tempo personale nel ciclo della natura.

Capolavoro della new wave taiwanese il film fa seguito a I ragazzi di Fengkwei (1983, anche questo presentato da Fuori Orario), In vacanza col nonno (1984) e A Time to Live, a Time to Die (1985). Con questi film Hou Hsiao-hsien si è affermato come uno dei più grandi maestri del cinema contemporaneo.. “E’ con Dust in the Wind che credo di aver raggiunto la maturità. Ho capito che quando si filma, che si tratti di una persona o di una cosa, da quello che si filma emana una sensazione, un’emozione. Il mio lavoro consiste semplicemente nel cogliere questo sentimento. (…) Cerco di riprodurre l’atmosfera della realtà, quello che è palpabile ma che non può veramente essere spiegato. Mi interessano le interazioni tra le persone attraverso espressioni molto quotidiane, parole, gesti, cose che si trovano solo tra le righe” (Hou Hsiao-hsien) “Quando facevo gli studi di cinema sono stato ispirato da I ragazzi di Fengkwei, sono rimasto molto colpito quando l’ho visto per la prima volta nel 1995 all’università. Mi è sembrato un film che mi riguardasse da vicino, aveva un aspetto familiare. Ho avuto l’impressione, mentre racconta di giovani taiwanesi, che parlasse degli amici del mio villaggio natale, (…). Nel corso del suo itinerario cinematografico Ozu ha fatto sbocciare tutta la bellezza del cinema giapponese. Questa bellezza alla fine è diventata il modello estetico del cinema orientale. Hou Hsiao-hsien l’assimilata, Wenders l’ha idolatrata. Di generazione in generazione molti cineasti vi hanno attinto una forza spirituale” (Jia Zhangke, Dits et écrits d’un cinéaste chinois, Parigi, 2012)

I FIGLI DEL FIUME GIALLO 
(Jiānghú érnǚ, Cina, 2018 col., dur., 130’, v. o. sott. it.)
Regia: Jia Zhangke
Con: Zhao Tao, Liao Fan, Feng Xiaogang, Xu Zheng, Zhang Yibai
Nel 2001, nell’impoverita città mineraria cinese di Datong , Qiao è la ragazza di un boss della mafia di nome Bin. Dopo che il capo di Bin viene assassinato, Qiao propone a Bin di scappare da tutto e di sposarsi ma durante un combattimento con gang rivali Quiao spara per proteggere Bin e viene condannata a cinque anni di prigione. Nel 2017, al termine della detenzione, durante la quale non ha più avuto notizie, Quiao si mette alla ricerca di Bin, ma nel corso del tempo tutto è cambiato. Con questo film Jia Zhangke prosegue la sua esplorazione delle trasformazioni in corso nella Cina contemporanea indagando memorie così velocemente soppresse dal cambiamento da sembrare eventi mai accaduti. I figli del fiume giallo nasce anche da ricordi di gioventù del regista e utilizza come documentari sequenze girate durante le riprese di Still Life, ottenendo uno straniante rapporto tra passato e presente. Il film, come tutti quelli di Jia Zhangke da Unknown Pleasure (2002) in poi, è girato in video digitale. Jia Zhangke spiega così la sua scelta: “[…] Spesso scherzo sul fatto che solo il ritmo dell’evoluzione dell’attrezzatura digitale può tenere il passo con il ritmo dello sviluppo della Cina. Per me, questo film tratta molto di come, in questo arco di tempo di 17 anni, le connessioni umane e le emozioni umane – le relazioni interpersonali tra le persone – si evolvono e cambiano come risultato di tutto ciò. In superficie, si possono vedere molto chiaramente i cambiamenti prima e dopo l’era di Internet, cose come in passato c’erano treni lenti e ora ci sono treni ad alta velocità. Ma questo è a livello superficiale. Quello che mi interessa esplorare è cosa è successo in termini di mondo interiore a queste persone in questo particolare contesto storico, come le loro relazioni si sono evolute o dissolte e le ragioni delle dissoluzioni e delle evoluzioni” (“Slant Magazine”, marzo 2019).

Sabato 11 maggio dalle 02.25 alle 07.00

POLVERE NEL VENTO – MAESTRI D’ORIENTE

a cura di Fulvio Baglivi, Lorenzo Esposito, Roberto Turigliatto

AN ELEPHANT SITTING STILL 
(Dà Xiàng Xídì Érzuò, Cina, 2017, col., dur., 224’, v.o. sott., italiano)
Regia: Hu Bo
Con: Peng Yuchang, Zhang Yu, Wang Yuwen, Liu Congxi
Opera prima e tragicamente ultima del regista cinese Hu Bo, morto suicida ventinovenne subito dopo aver terminato il montaggio, An Elephant Sitting Still è stato presentato in prima mondiale al Forum di Berlino nel febbraio del 2018 ed è diventato il caso cinematografico mondiale più stupefacente della fine del decennio, acclamato come uno degli esordi più dolorosi e potenti del cinema del Ventunesimo Secondo. Béla Tarr, suo grande ammiratore, e che aveva seguito Hu Bo come tutor a Xining durante la realizzazione di un cortometraggio, lo ricorda come “un uomo costantemente circondato da una tempesta”. Ma “nel lavoro era estremamente sensibile e gentile. Ascoltava tutti ed era attento ai dettagli. Era costantemente di corsa. Forse sapeva di non avere molto tempo. Ha bruciato la sua candela dalle due estremità. Voleva avere tutto ora. Non poteva accettare il mondo e il mondo non poteva accettarlo. Anche se lo abbiamo perduto, i suoi film saranno con noi per sempre”. Con un solo lungometraggio Hu Bo ha fatto tabula rasa di tutto il cinema d’autore algido e manierista della nostra epoca. Il film, tratto da un romanzo dello stesso regista, si svolge nell’arco di una giornata, dal mattino alla notte, in una città cinese industriale senza nome, dove si intersecano le vite dei quattro personaggi principali. L’adolescente Wei Bu è in fuga: ha ferito gravemente il bullo della scuola, Yu Shuai, spingendolo accidentalmente giù dalle scale. La sua compagna di classe Huang Ling ha rotto con la madre e si è lasciata abbindolare dal suo insegnante. Il fratello maggiore di Shuai, Cheng, si sente responsabile del suicidio di un amico. Un pensionato, il signor Wang, non vuole essere trasferito dal figlio in una residenza per anziani e lascia la casa con la nipotina. I protagonisti si mettono in viaggio verso la città di Manzhouli, nel nord della Cina, dove pensano di trovare un elefante che se ne sta semplicemente seduto, immobile e indifferente al resto del mondo.

 

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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