TORINO 28 – “Les hommes debout”, di Jérémy Gravayat (Concorso)

Les hommes debout

Ambientato nel quartiere di Gerland a Lione, zona industriale e operaia nella immediatezze della città francese, il film di Jérémy Gravayat Les hommes debout, racconta speranze e delusioni, proteste operaie del passato e disillusioni dell’oggi. il film non è esente da un certo intellettualismo che ne rende faticosa la visione, ma resta comunque un raro racconto di emozioni

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Les hommes deboutIl film di Gravayat è dichiaratamente diviso in due parti. La scelta stilistica e quella formale depongono per una esplicita intenzionalità dell’autore. Questa netta partitura corrisponde, altrettanto simmetricamente, ai pregi e ai difetti del film.

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Ambientato nel quartiere di Gerland a Lione, zona industriale e operaia nella immediatezze della città francese, il film di Gravayat racconta speranze e delusioni, proteste operaie del passato e disillusioni dell’oggi. Il passato, frammisto al presente, è reso con immagini in bianco e nero di repertorio e in parte girate per l’occasione, ma con la stessa scelta cromatica e di grana, in un gioco di rimandi anche narrativi che non disturbano e che, anzi, restano i momenti più riusciti del film. Il presente ha i colori dell’immagine digitale perfetta. Ma la coerenza cromatica non corrisponde, invece, al senso di sgomento dei nostri giorni. Le fabbriche sono in disarmo, i vecchi lavoratori sono oggi delusi pensionati e il presente si esibisce degradato, eretto sulle ceneri del passato. Anche i terreni sui quali, un tempo, si ergevano le fabbriche durante il periodo dell’industrializzazione selvaggia, sono oggi pericolosi. Lo sversamento di componenti chimici inquinanti li ha resi inabitabili e nocivi.

Su questo scenario speranzoso della prima parte e desolante della seconda, Gravayat imbastisce il suo film che non è purtroppo esente da un certo intellettualismo che ne rende faticosa la visione e dispersiva la comprensione dei fatti. L’ossessiva voce fuori campo che racconta, sulle immagini, gli avvenimenti, i sogni e i desideri dei lavoratori, sembra sovrastare l’immagine e tende a ridurne il fluire. È un peccato perché è proprio questa prima porzione del film a costituirne il fondamento.

Dopo la cesura, quando la fotografia acquisisce i colori saturi del digitale, scompare la voce fuori campo e lo scorrere delle immagini si fa più naturale. Ma nello stesso tempo qui Gravayat non riesce ad imprimere quella stessa forza evocativa che avevano in precedenza. Il film sembra chiudersi su stesso. Resta il rimpianto per il passato, per tutto quello che non è stato e resta un senso di vuoto. 

Il progetto del regista francese è ambizioso. Non è infatti quello di raccontare i fatti, quanto, piuttosto di raccontare i sentimenti e i desideri delle persone, raccontare l’ambiente sociale e la speranza. Non è poco, ed anzi è moltissimo e d’altra parte è proprio in questa ambizione che risiede il pregio maggiore del film e poco importa se l’idea iniziale abbia trovato un non perfetta corrispondenza nella sua resa cinematografica. Gravayat ci ha offerto comunque una testimonianza del passato e un raro racconto delle emozioni. 

 

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    Un commento

    • francesca blache

      Mi è piaciuto tantissimo! Ho abitato a Lione e per poche settimane a Gerland. E' importante ciò che ha fatto il regista, per noi francesi spesso all'oscuro di ciò che è successo in passato per via della censura.
      Grazie Jérémy!!!!
      Francesca Blache