CANNES 60 – “Miss Bala” di Gerardo Naranjo (Un certain regard)

miss bala
Un calvario, un labirinto senza uscita, una discesa agli inferi inesorabile. E per questo, tutto sommato prevedibile e priva di inventiva. La regia si appiattisce su un unico, per quanto francamente efficace, partito preso stilistico: seguire la protagonista da presso, fare “sentire” la limitatezza obbligata del suo punto di vista sugli eventi

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miss balaUn innocuo concorso per diventare Miss cambia per sempre la vita di Laura, giovane della messicana Bassa California violentemente coinvolta in uno scontro tra bande di trafficanti locali, poliziotti corrotti e federali d'oltreconfine. Nel corso di una serata danzante, un'amica scompare: nel corso delle ricerche Laura verrà rapita dai malavitosi e variamente sballottata (per giochi più o meno doppi) dalle parti in conflitto, fino a venire lei stessa incriminata.
Un calvario, un labirinto senza uscita, una discesa agli inferi inesorabile. E per questo, tutto sommato prevedibile e priva di inventiva. La regia si appiattisce su un unico, per quanto francamente efficace, partito preso stilistico: seguire la protagonista da presso, fare “sentire” la limitatezza obbligata del suo punto di vista sugli eventi, accompagnarla nei movimenti con meno stacchi di  montaggio possibili per dare l'impressione di essere lì con lei. Sovente, la cinepresa stringe su porzioni di campo visivo piuttosto anguste, e si concede brevi istanti di “libera uscita” con lenti carrelli laterali di qualche secondo a mostrare lo spazio in cui Laura si muove e patisce (perché quanto ad agire non agisce mai e quando ci prova sono botte da orbi). Quasi sempre, verso la fine di quei carrelli (che di norma lasciano come degli spazi vuoti tra un centro di interesse e l'altro a creare quella che in casi più riusciti chiameremmo “suspense”) ricompare la silhouette di Laura. Come a dire: il personaggio è “inchiodato” al suo (inerme) punto di vista, occupa una posizione inamovibile perché di volta in volta spostata esclusivamente dall'arbitrio insindacabile di un Sistema che decide integralmente per lei. A lei tocca solo eseguire, come in un perverso e mortale videogioco, percorso in maniera quasi onirico-sonnambolica.
Su cosa sia questo Sistema, nessuna sorpresa: la morsa terribile della finta opposizione tra le due parti in realtà complici che sono la polizia e i trafficanti. Su come se ne esca, la risposta è altrettanto scontata: non si esce. E sia. Il problema (volendo, anche “morale”) è che non viene mai minimamente discussa la contrapposizione frontale tra la protagonista e il “Sistema”. Da una parte, l'innocente massacrata. Dall'altra, la massa indifferenziata dei colpevoli. Naranjo (anche grazie ai – molti – soldi investiti dalla Fox) mette in piedi un notevole dispiego coreografico (coordina abilmente i movimenti disposti su diversi piani del set in modo da tenere Laura e la sua posizione di impotenza come perno), ma purtroppo non sa che farsene, e lo mette a servizio di una visione di fondo senza vero interesse.

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