PESARO 46 – "Prostye veshchi" (Simple things), di Aleksey Popogrebsky (Nuovo cinema russo – Omaggio Koktebel)

simple thingsAleksey Popogrebsky si è dichiarato interessato soltanto alla messa in scena della realtà e il suo cinema è funzionale a questa radicale scelta artistica. Prostye veshchi conferma queste intenzioni e dimostra la sensibilità nella percezione e nella traduzione in scrittura e immagini dell’ordinaria vita quotidiana

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simple thingsSergey Maslov è un anestesista mal pagato che per fare quadrare i conti si arrangia come può e sceglie di curare a domicilio un noto attore oggi anziano e malato. La gestione della quotidianità familiare per Sergey è complicata e la sua vita è schiacciata dalle piccole semplici cose e tra queste il rapporto con la figlia appena scappata da casa.

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La comune radice di questo cinema russo che ritroviamo fortemente rappresentato qui a Pesaro è  quella della realtà che diventa esclusivo e assoluto oggetto di indagine da parte dei registi. A questo proposito non possono essere trascurate alcune dichiarazioni che il regista di Prostye veshchi ha rilasciato in occasione di una proiezione londinese del suo film. Aleksey Popogrebsky ebbe a dichiarare di non essere interessato ad altro se non a mettere in scena la realtà, trascurando ogni altro livello narrativo. Questa messa in scena della esplicita quotidianità serve a porre al centro i personaggi così come sono di modo che lo spettatore abbia l’impressione di incontrarli davvero e non di vedere un film. Appare quindi funzionale, sempre secondo le parole del regista russo, a questa forte radicalità della scelta artistica, quella di accentuare i tratti dei personaggi, caricando i caratteri e i gesti, fosse anche far mangiare rumorosamente la zuppa di pesce. Da un punto di vista più cinematografico, invece, questo rilievo é raggiunto attraverso l’utilizzo di primi piani strettissimi e di spazi ben definiti e rigorosamente reali.

Prostye veshchi mette in pratica queste intenzioni raccontandoci la quotidianità di Sergey e la sua inerzia davanti alle circostanze che condizionano la sua vita, ma anche i suoi goffi errori commessi per sfuggire alla sua precaria condizione economica. È grossolano il suo tentativo di vendere un quadro attribuito ad un famoso pittore ma di proprietà del suo paziente. La vendita non riesce e Sergey assume agli occhi di Popogrebsky una sorta di dimensione dostoevskijana di piccolo uomo vittima del male. Ma in fondo Popogrebsky si confronta con l’umanità a tutto tondo del suo personaggio e ancora una volta, in questo caso forse con minore trasporto emotivo, il nuovo cinema russo, pone al centro della narrazione i sentimenti del quotidiano (in questo senso solo Koktebel sembra fare eccezione) che si traducono nel fluire consueto della vita. In questa sensibilità di percezione e traduzione in scrittura e immagini dell’ordinaria vita quotidiana sta il merito maggiore del film. Una straordinaria sensibilità scevra da ogni retorica, un pedinamento di sentimenti che prescinde da qualsiasi intervento sociologico o peggio politico che paiono essere due argomenti dai quali i registi di questa corrente post comunista sembra voglia restare consapevolmente lontana.

 

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