SPECIALE DUE GIORNI, UNA NOTTE – Countdown

marion cotillard in due giorni, una notte

La cosa incredibilmente coinvolgente è il modo in cui si respira il dolore personale ma tutta il peso plumbeo della crisi economica. Non si sente come parola così come non si sentiva la parola 'guerra' in La regola del gioco di Renoir. Non lavorare oggi è, sì, una tragedia e una malattia. E Marion Cotillard sembra 'neorealisticamente il personaggio vero e non un'attrice.

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marion cotillard in due giorni, una notteCorre, Sandra corre. Come se fosse un thriller statunitense. Non è lei in fuga ma anzi, è lei che insegue gli altri dipendenti dell'azienda di pannelli solari per cui lavora. Però è braccata da un ombra: il tempo. Gliene resta pochissimo per cercare di convincere i colleghi a rinunciare a quei 1000 euro di bonus per farla reintegrare.

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Insegue e fugge Sandra. Quasi una corsa. Non è stata accusata di un delitto che non ha commesso. Ma lo straordinario livello di tensione di Due giorni, una notte è proprio in quella condensazione dove gli spazi – anche quelli aperti – diventano sempre più piccoli, angusti. Tra Alfred Hitchcock (Intrigo internazionale) e John Badham (Minuti contati). E con quel senso di alienazione persistente sulle tracce di A tempo pieno di Cantet. Lì c'era un uomo che perdeva il suo impiego di consulente finanziario ma non aveva il coraggio di confessarlo alla famiglia e così si inventa una vita parallela. Qui invece, al contrario, Sandra cerca di uscire da quella doppia esistenza nella quale era costretta a convivere. Insegue il proprio passato, quello prima della depressione. Ma dietro ha un altro tempo, quello che gli scandisce le ore, quello fatto di incontri, di pressioni, di ricerca di una solidarietà in cui ci sono in gioco le motivazioni sue e quella degli altri dipendenti che cerca di portare dalla sua parte.

due giorni, una notteA piedi, in macchina, di corsa. Quasi un punto impazzito nello spazio con la sua canottiera arancione. Circondata dai rumori. Quello dei Dardenne è ancora un cinema totalmente 'fisico'. Sandra si muove con la stessa spinta di Rosetta nel bosco, di Igor con il motorino in La promessa, della coppia formata da Bruno e Sonia in L'enfant. Con la stessa impressione che quel cielo grigio, quello spazio così apparentemente fermo, stia sempre sul punto di inghiottirla. La cosa incredibilmente coinvolgente di Due giorni, una notte è il modo in cui si respira il dolore personale ma tutta il peso plumbeo della crisi economica. Non si sente come parola così come non si sentiva la parola 'guerra' in La regola del gioco di Renoir. Ma si avverte in ogni fotogramma. Non lavorare oggi, sì, è una tragedia, è una malattia. E qui si sente tutto attraverso i movimenti nervosi, gli scatti, le speranze e le disillusioni di un corpo in moto perpetuo. Che agisce non avendo in testa esattamente cosa fare. E la macchina da presa dei Dardenne la pedinano ma non la lascia mai sola. Come per proteggerla anche dall'esterno (dagli altri colleghi che non la vogliono aiutare e anzi cercano anche di scontrarsi con lei) ma anche di disperazione, intervenendo con quella che sembra una forzatura e invece è puro atto d'amore, nel punto di massima disperazione.

Marion Cotillard è una delle star francesi più famose e brave ma qui il miracolo è quello che sembra il personaggio vero e non un'attrice. Quasi una mutazione neo/realista, oppure l'altra pelle di un attrice che ha aderito al progetto Dardenne (che l'avevano in testa già da 10 anni) da un punto di vista emozionale prima che progettuale. Ed è per questo che Due giorni, una notte appare più vero del vero. E chi sente il morso della crisi economica ne è trascinato completamente dentro.

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