FESTIVAL DEL FILM DI ROMA 2014 – Incontro con Clive Owen

L'attore britannico Clive Owen ha incontrato il pubblico per ripercorrere la sua carriera in occasione della presentazione in anteprima di The Knick, la serie tv diretta da Steven Soderbergh, che andrà in onda dall'11 novembre su Sky Atlantic.

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L'attore britannico Clive Owen ha incontrato il pubblico per ripercorrere la sua carriera in occasione della presentazione in anteprima di The Knick, la seriee tv diretta da Steven Soderbergh, che andrà in onda dall'11 novembre su Sky Atlantic.

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Quando si è reso conto di voler fare l’attore?

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Sono cresciuto a Coventry, e da piccolo ho fatto un provino per Oliver di Dickens. Ho recitato in diverse  compagnie teatrali in gioventù. Oltretutto il gestore del teatro locale in cui recitavo è andato poi a gestire la Royal Shakespeare Company. Questo è un esempio dell'educazione teatrale che ho ricevuto.

 

È sempre stato immerso nel mondo teatrale? Qual è stata la sua prima esperienza?

Sono stato incoraggiato a iscrivermi in una scuola di teatro, ma quando mi hanno chiesto quali scuole conoscessi e io horisposto che conoscevo  solo la Royal Academy, non mi hanno accettato. In seguito ho fatto domanda alla Royal, dopo essere stato rifiutato da un’altra scuola, e sono stato preso. Era destino che andasse così. Sono stato molto fortunato ma sono consapevole che c’è un altro Clive a Coventry che non è stato altrettanto fortunato.

Il personaggio del dottore è molto complesso, così come gli altri che ha interpretato. È una scelta consapevole?

Sono attratto da questi personaggi. Mi piaceva anche la mia parte in Closer, adoravo il testo anche se all’inizio avrei dovuto interpretare la parte di Jude Law. Avevo già interpretato questo testo a teatro ma ero troppo giovane, poi mentre stavo lavorando a Gosford Park mi è arrivata la proposta per Closer. Mi piace interpretare ruoli difficili, è una sfida. Non si tratta di piacere agli altri, ma di capire il personaggio e di farsi capire dagli spettatori.

A giudicare dai suoi film, ha una capacità di trasmettere qualcosa anche senza muoversi. Il cinema lavora mentre lei sta fermo e trasmette attraverso lo sguardo emozioni contrastanti come ironia, vulnerabilità e rabbia. Quando ha capito che questo funzionava?

È una questione interessante. Essendo giunto al cinema dal teatro, ho capito che tutti gli artifici sembrano falsi e un eccesso di stratificazione si avverte facilmente al cinema. I migliori attori teatrali non funzionano al cinema perchè sono troppo plateali mentre è la macchina da presa che deve cogliere i dettagli di una situazione.

Le piace rivedersi nei film? Alcuni attori lo evitano, altri non vedono l'ora di rivedersi.

No, non mi piace, io sono un perfezionista. Ho capito che come attore non si può guardare il passato. Io sono il miglior giudice di me stesso e preferisco guardare avanti piuttosto che rimuginare sul passato.

Dici di scegliere un film per la sceneggiatura ma anche il regista ha la sua importanza?

Il testo è importante per me perché ho iniziato a lavorare a teatro, ma anche il regista è fondamentale. Il film è il mezzo del regista e io voglio dare al regista ciò che gli permette di far funzionare tutto senza prevalere sul suo ruolo. In Gosford Park tutti dovevano essere sul set pronti per essere usati, e in base all'ispirazione del regista a volte accadeva ed altre no, ma  lo scopo era mettere insieme una sinfonia, come fa iò musicista. Non ho mai visto nessuno far fluire i film in questo modo. Il suo dono è riuscire in questa impresa senza creare frustrazione in nessuno, e senza che nessuno voglia prevalere sull'altro.

Il cinema è stato influenzato molto dalla rivoluzione digitali, Sin City è un esempio. Come si pone verso questa tecnica?

Positivamente. Anche in Sin City dopo tutto si trattava di recitare, nonostsnte lo sfondo verde. Sin City è stata un'esperienza unica. Sul set non c’era nulla e ho lavorato su una cassa di legno fingendo che fosse una macchina. Abbiamo fatto tutto sullo schermo verde e questa è stata una svolta nel cinema, Le scene migliori però sono quelle girate insieme ad altri attori. Solo così ci può essere interazione, ritmo. Il lavoro di un attore è portare avanti una scena, non fare la propria scena. I figli degli uomini è un buon esempio a riguardo. Abbiamo parlato con Cuaròn del ruolo del regista e della sceneggiatura. Dovevo decidere tra due film, in uno la mia parte era splendida, qui invece era splendido il copione. Mi ha preso, sapevo cosa fare sin dall'inizio. Ad oggi sono contento di averlo fatto, perchè Cuaròn è un grande amico oltre che un regista incredibile.

Croupier è stato significativo. Cosa ha catturato la sua attenzione in questo film?

È un film insolito, che è partito a rilento ma che poi ha cambiato completamente la mia carriera, promuovendo la mia immagine e aprendomi le porte dell'America. La campagna pubblicitaria è durata per mesi e anche se all'inizio ha traballato, poi questo film è diventato un cult di quegli anni.  

Il costume di The Knick ricorda un David Bowie nei primi del '900. Che ne pensa?

La costumista è fantastica, e i costumi sono adatti ad ogni attore. Gli stivali bianchi sono in perfetta sintonia con un personaggio arrogante che si sente la rock star dell’ospedale. Mi hanno detto durante le riprese che essendo il dttore potevo fare come volevo, e questo mi ha vatto pensare a una versione di David Bowie del primo 900.

Come lavora? Si baa sulle ricerche o sull’istinto?

Dipende dal film e dal tempo a disposizione. Per Hemingway ho fatto una ricerca spaventosa, ho viaggiato anche parecchio, ma non si può fare l’agente sotto copertura per mesi per interpretarlo in un film. Bisogna credere nel personaggio a prescindere, capirlo a fondo e sentirsi a proprio agio nei suoi panni.
 

Come fa ad essere sicuro di ciò che scegle?

Non lo sono, ma il desiderio ti può far fare tutto. Ho basato la mia carriera su questo, sul desiderio di lavorare con un regista o fare una determinata storia. Il modo migliore per lavorare bene è desiderarlo. Mi fido dell’istinto. Se mi guardo indietro vedo una carriera multiforme e questo lo devo al fatto che sono istintivo ed è su questa base che faccio le mie scelte. La cosa più importante in quello che si fa è trovare la verità, esprimere la verità. Come attore è importante mettere tutta la verità possibile nel proprio ruolo, anche se il lavoro poi può anche non  piacere alla gente. Ed è questo che mi fa andare avanti.
 

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