CANNES 55 – “Spider” di David Cronenberg (Concorso)

Sorprende come Cronenberg riesca a scavalcare una scrittura e un universo non propri. Non si tratta più di corpi da mutare e da mutilare, bensì corpi già mutati e mutilati.

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Potrebbe lasciare piuttosto spiazzati e delusi i fan di Cronenberg questo ultimo “Spider”. Perché non è proprio un’opera di Cronenberg ma un film su commissione (pare sia stato infatti Ralph Fiennes a convincere l’autore canadese a girare questo film). Perché la scrittura di Patrick McGrath si avverte in maniera forte, rallentando quell’oppressione/mutazione dei luoghi e dei corpi propri di Cronenberg. Protagonista è Spider un uomo che dopo anni passati in internamento psichiatrico, torna a Londra dove va a vivere in un’oscura abitazione dell’est londinese. Da lì ricomincia a rivedere il proprio passato, soprattutto tornando all’evento che gli ha sconvolto la vita: l’omicidio della madre, avvenuto quando Spider aveva appena 12 anni. Stavolta però sorprende comunque come Cronenberg riesca a scavalcare una scrittura e un universo non propri. Non si tratta più di corpi da mutare e da mutilare, bensì corpi già mutati e mutilati. Spider, come il resto degli altri personaggi non-vivi dell’opera, è già oggetto decomposto fin dalla prima bellissima sequenza in cui la macchina da presa sembra rallentare nel momento in cui si sposta tra la folla indistinta al protagonista. Cronenberg, con il corpo doppio di Ralph Fiennes sembra ricomporre frammenti delle realtà provvisoria di “Crash” e della virtualità nel mostrare esistenze parallele di “eXistenZ”. Le location inglesi, dove potrebbe esserci il sospetto a quella composizione visiva propria del cinema britannico, viene trasformato in un non-luogo, oscuro e mai abitato, popolato da quei fantasmi che potrebbero derivare dal cinema di Lynch ma che possiedono anche quella carnalità propria di Cronenberg. I titoli di testa mostrano ancora corpi sezionati – i titoli di testa con le “radiografie” dello scorpione” – per penetrare dentro quegli universi dove la schematica scrittura di McGrath viene ribaltata in una sorta di oscuro viaggio della mente in cui le immagini hanno la consistenza preistorica di quelle di Cronenberg e dove Spider (l’adulto e il bambino) appare il gemello di se stesso, quasi una duplicazione del proprio corpo nel Tempo come in “Inseparabili”. Ma ancora, ascendenze hitchcockiane, con Miranda Richardson corpo-mutante come Kim Novak in “La donna che visse due volte”, e la forte scena dell’omicidio in cui la fotografia di Suschitzky sembra rimandare a quei cromatismi forti che sanno di morte come in Hitchcock. “Spider” è il segno di un cinema che si muove verso nuove traiettorie, non tipicamente cronenbergiano, ma sempre di una forza seducente soprattutto nella sua esibita e struggente malinconia.

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